sabato 2 ottobre 2010

Una linea



Forse ho esagerato col postino della volta scorsa. Per farmi perdonare (prima di proseguire per quella strada) vi voglio raccontare una storia, o meglio una ‘parabola’ in due tappe, che, a essere sinceri, non ho ben capito neppure io.

Una linea

Il pennarello scorreva come a caso sul foglio. La sua traccia era irregolare, ora più spessa, ora più sottile; ora diritta, ora curva, ora angolata; a tratti incerta, tremolante, quasi svanita, poi di nuovo decisa, imperiosa, sicura di sé; la direzione: variabile a capriccio, come se a tracciarla fosse stata una formica trasportata lontana dal suo nido; frequenti anche le interruzioni di cui però non si poteva mai essere certi che non fossero la fine; così come non si poteva essere certi di quale fosse il principio o un’occasionale ripresa; una linea senza inizio né fine, o meglio in cui inizio o fine potevano essere in un qualsiasi suo punto, anche coincidente (“ma fin est mon commencement”); se poi ci si fosse interrogati sul ‘perché’ di quella linea, sul ‘perché’ del suo stare al mondo, le risposte sarebbero state infinite o nessuna.

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Da vari anni e il grande foglio con quella linea si trova nella Galleria Guggenheim di New York, dove ogni visitatore ha il diritto di continuarla a suo piacere. Non tutti fanno uso di questo diritto, mentre alcuni si fermano a lavorare per ore. La linea ha occupato ormai ogni minimo spazio libero, così che la superficie del foglio appare uniformemente nera. Ma la linea continua …

3 commenti:

dario ha detto...

È il mio primo commento e non c'entra niente (o poco)!
Ho trovato questo aneddoto di Jean Baudrillard su un libro del liceo, mi ha fatto pensare al tuo postino "L'analogia nella costruzione di UCL, ovverossia come lo Scarites venne pescato con la Pimelia":

"Gli indigeni della Melanesia erano rapiti alla vista degli aerei che sfrecciavano in cielo. Ma mai questi oggetti discendevano fin verso di loro. I bianchi riuscivano invece a catturarli. E questo perchè essi, a terra, disponevano, in certi determinati spazi, di oggetti simili capaci di attrarre gli aerei voltanti [è un refuso? boh]. Perciò gli indigeni pensarono di costruire, con rami e liane, un simulacro di aereo; delimitarono poi un terreno, che illuminavano accuratamente durante la notte, e si misero ad attendere pazientemente che i veri aerei vi si posassero.
Senza voler tacciare di primitivismo (e perchè no?) i cacciatori-raccoglitori che ai nostri giorni vagano per la giungla della città, in quanto esposto si potrebbe vedere un apologo del consumo. Il miracolato del consumo mette in mostra tutto un dispositivo di oggetti-simulacri, di segni caratteristici di felicità, e poi attende (disperatamente, direbbe un moralista) che la felicità vi si posi".

Due esempi di costruzione di UCL (perfettibili? difettosi? il "miracolato del consumo" può fare di meglio, senza cessare di essere tale?) per analogia.

Chiedo scusa per lo zompo ad un post del 21 Luglio :)
A presto

Dario Peluso

Rigobaldo ha detto...

Altro che zompo!

SIamo un po' tutti, come il capitano Achab, cacciatori di noi stessi per tutti i mari del mondo.

Disponiamo l'esca alla persona che vorremmo diventare e poi speriamo ('disperatamente' va contraddittoriamente benissimo, senza essere moralisti affatto) di aboccare al più presto. I più fortunati ci riescono.

Cordialità,

dario ha detto...

Gentile Rigobaldo,

grazie di cuore per la bella risposta: probabilmente tutto ciò che possiamo fare è scegliere l'esca e vagare a casaccio (?) per il mare: ed eccomi qui a tracciare una riga, nero su nero sul foglio di Boris (vedi che in fondo c'entrava col post!).

A presto,

Dario Peluso