mercoledì 20 ottobre 2010

SÌ alla disponibilità all’ascolto



No, non intendo parlare di musica, per lo meno non subito, in apertura, ma di una normale situazione di qualcuno che parla e qualcuno che ascolta. La disponibilità di quest’ultimo e l’attenzione con cui ascolta dipendono per lo più dal suo interesse per gli argomenti proposti dall’altro. E, poiché è raro che tra quello e questi vi sia convergenza, larga parte della comunicazione intercorsa si perde in un indistinto brusio di fondo. Se viceversa gli argomenti proposti accendono la mente anche dell’ascoltatore, questi tenderà ad appropriarsene tagliando fuori il proponente e concentrandosi su ciò che gli risponderà. Un vero ascolto partecipato lo si incontra raramente, perché è difficile, in quanto richiede una momentanea decentrazione del pensiero in quello dell’altro. I nostri ascolti sono quasi sempre ‘con riserva’ e, mentre ascoltiamo, la nostra mente lavora su questa ‘riserva’ piuttosto che sul messaggio in arrivo. A scuola, nel migliore dei casi, ci insegnano a parlare, a esprimerci con chiarezza ed efficacia. Ben di rado ci viene detto che anche l’ascolto richiede una sua tecnica.

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È abbastanza ovvio che l’esercizio dell’ascolto abbia un suo ambito privilegiato nella musica. Non in quella che quotidianamente ci avvolge indifesi (e neppure possiamo dire che l’ascoltiamo, tanto poco impegna la nostra mente) ma nell’altra, la musica oggi fuori moda, la cui complessità definiva anche una modalità di ascolto a lei adeguata, ed è la mentalità che al cervello richiede un massimo di concentrazione e di lavoro analitico-interpretativo facendosi così ‘paradigma dell’ascolto tout-court’. Non è infatti la musica in quanto tale che qui ci interessa; la più banale delle canzonette può, per particolari ragioni, essere ascoltata con l’intensità in genere riservata a composizioni come il Quartetto Op. 132 di Beethoven. Per lo più, lo si direbbe uno spreco di energia come se si usasse una gru per sollevare un grano di mais, ma posso immaginare una situazione in cui per estrarre tutta l’informazione contenuta in un grano di mais io abbia bisogno di un’energia di ascolto superiore a quella che mi può fornire una gru. L’informazione non è una grandezza assoluta ma una variabile legata alla domanda.

E che cosa si può chiedere a un oggetto musicale oltreché di essere piacevole e divertente? Di muovere la mente e non solo gambe e braccia dell’ascoltatore; di parlare alla sua ragione non meno che alla sua emotività. ed è questo che la musica sa fare, se raggiunge chi la sa ascoltare. E lo fa distribuendo l’informazione di cui è capace su una gran quantità di parametri, fisici (frequenza, intensità, durata, qualità ... del suono), sintattico-grammaticali (unità discorsive, frasi, periodi, sezioni ...), semantici (unità, combinazioni di significati ...), formali ecc. La stessa distribuzione di cui, per la comunicazione verbale, si è incaricata la parola. E allora? dove sta la peculiarità dell’ascolto musicale?

In questo: che, laddove la parola, per significare con chiarezza, si dispone su stringhe lineari, che il cervello percorre linearmente, salvo turbolenze occasionali, la musica –quella cui intendo riferirmi– ha soprattutto una struttura polilineare, la cui percezione richiede una capacità di sintesi sia verticale (nella contemporaneità) che orizzontale (nella successione temporale). Ma, dicendo questo, non abbiamo neppure sfiorato la stratificazione ‘culturale’ della musica che in ogni suo punto si richiama al suo passato e anticipa il suo futuro.

Di qui il privilegio di un ascolto integrato della musica.

1 commento:

Rigobaldo ha detto...

Giusto un pensiero alla membro di segugio - stavo conversando con mio cugino e mi diceva che trova preoccupante, appunto, che il tempo che dedichiamo alla conversazione reale, faccia a faccia, sia in caduta a picco in larghi settori delle nostre società.

Ci sarà qualche rapporto con questa storia dell'ascolto?

Cordialità,