sabato 16 ottobre 2010

SÌ alla riconversione dell’industria bellica in industria del mantenimento


Il conosciuto "Throne of Weapons" de Cristovao Canhavato (Kester) -vedasi il progetto africano Transforming Weapons in Tools (British Museum)- scende per strada colpendo (nel buon senso del termine) i bambini ...


Esiste, è pensabile un’industria del mantenimento?

La locuzione nasce in opposizione a ‘industria bellica’, che ha necessariamente una connotazione distruttiva. E allora, perché non ‘industria costruttiva’? Perché anche questa sembra includere la sua contraria: distruzione di qualcosa che c’era prima, se non altro dell’ambiente preesistente. E di una ‘industria costruttiva’ la terra è piena e non sembra che ci sia bisogno di investirvi altri capitali. Comunque, non intendo affatto pronunciare un NO a questo tipo di industria, come ai tipi collegati: ‘industria dei consumi’, ‘industria dello smaltimento (dei rifiuti)’, ‘industria estrattiva’ ecc.

In che senso il mantenimento dell’esistente può alimentare un’industria? Alcune modalità derivate sono ben note e praticate, ad esempio il turismo che troppo spesso degenera tuttavia in forme distruttive (tipo ‘riviera adriatica’ o ‘impianti di risalita’). Neppure queste modalità vorrei condannare senza appello in quanto hanno aperto alla fruizione collettiva luoghi e attività prima accessibili solo a un’esigua minoranza. Se un NO vorrei qui decisamente pronunciare è contro l’industria bellica, per cui si invoca una radicale trasformazione.

Industria del mantenimento: quanto spesso si sente rimpiangere, anche di fronte a splendide realizzazioni della moderna tecnologia, uno stato di cose precedente? E non è sempre il tedioso laudator temporis acti a far sentire la sua voce, ma anche la persona, per nulla retriva, che sa valutare con pari competenza e il vecchio e il nuovo. Il punto tuttavia è un altro: non l’uno o l’altro, ma uguale sviluppo delle tecnologie per rinnovare e quelle per mantenere, la decisione deve poter contare sulle ‘pari opportunità’. Spesso nei tempi passati una realtà, per esempio urbanistica –penso a certe ville rinascimentali–, è stata sacrificata all’industria edilizia, certo più redditizia nell’immediato di una industria del mantenimento ancora poco sviluppata.

Oggi le cose sono un poco cambiate e si comincia a intravedere come il mantenimento –la conservazione– paga spesso più dell’innovazione. È una questione culturale da non valutarsi tuttavia nell’ottica esclusiva di una sola cultura. Un’analisi metaculturalmente condotta offre migliori garanzie, sempreché la società disponga di un’appropriata industria del mantenimento.

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