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Se anche decidiamo
quindi, come la maggioranza di noi ha già fatto, per la competizione, diamole
delle regole fisse e un tribunale internazionale con pieni poteri repressivi
per garantirne l’applicazione: di fatto, una dittatura del potere giudiziario.
E che ne facciamo della libertà?
Per parte mia non me
ne preoccupo troppo perché, per quanto sia anch’io affascinato dalla parola, me
ne sfugge il concetto. Non è tanto alla perdita di una libertà, invero più
gridata che convinta, cui intendo riferirmi, quanto al modello di sviluppo al
quale affidare il nostro futuro, sempreché la cosa ci interessi. Il modello
concorrenziale adottato dalla specie umana e, con forti limitazioni, anche da
molte altre, si basa essenzialmente sull’eliminazione del concorrente, ma per
simmetria, altrettanto sull’eliminazione nostra. Non vedo comunque una ragione
che in questo gioco debba favorire la nostra specie rispetto ad altre. Oggi
vediamo, è vero, l’estinguersi di un gran numero di specie animali e vegetali
–il più delle volte ad opera dell’uomo– mentre la specie nostra cresce a
dismisura, ma le sue probabilità di sopravvivenza, secondo attendibili studi,
sono in sensibile calo. E non solo per i guasti ecologici da noi prodotti, ma
anche per la meccanica interna del modello concorrenziale, sempre meno
garantito nei confronti di un finale catastrofico.
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