domenica 5 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (viii)



Dalla serie "Waterpower" di Pierre Carreau
551 (8)
IMC è quindi un’ipotesi per la democratizzazione dei linguaggi e quindi degli ‘stili di pensiero’. Legando i giudizi e, in genere, le espressioni umane agli UCL, IMC relativizza gli assoluti e ne permette l’associazione nel mondo; contribuisce all’instaurarsi della pace, togliendo terra sotto i piedi all’aggressività umana. Non la elimina di fatto, ma tenta di dirottarla su comportamenti compatibili con la sopravvivenza. Con riferimento alla disciplina di mia primaria competenza, trovo esemplari i casi di Beethoven e Bach –un accoppiamento inusuale per la storia della musica– la cui aggressività, stando alla loro musica, doveva essere eccezionale quanto la loro capacità di sublimarla nell’azione compositiva. Possiamo interpretare questa azione come un trasporto, una traduzione di energia da un comportamento distruttivo a uno costruttivo. Qualcosa di simile accadrebbe quando, nel passaggio da un atteggiamento culturale a uno metaculturale, l’investimento di energia rimanga lo stesso, cambi però la modalità applicativa. In Bach la metaculturalità è per così dire immanente alla sua produttività fin dall’inizio, segnato dall’universalità dei suoi interessi non solo musicali; in Beethoven l’approdo metaculturale si va profilando negli anni, per raggiungere la meta si direbbe fuori da ogni limitazione culturale nelle ultime opere.

IMC non coincide tuttavia né con extraculturalità né con la multiculturalità di cui oggi molto si parla. Dalla prima si distingue per la presenza di tutti i tratti tipici di un UCL, in una combinazione tuttavia inconsueta e ai margini per così dire della loro tipicità. Dalla seconda, la multiculturalità, per la forte coesione di questa molteplicità, al punto di costringerla come per interne forze molecolari o nucleari a coesistere entro un medesimo contraddittorio campo.

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