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In una trasmissione televisiva –ma non è
importante quale, visto che l’argomento è sempre all’ordine del giorno– si
discuteva dell’odierna situazione lavorativa con migliaia di disoccupati,
migliaia di cassintegrati, altre migliaia in attesa di licenziamento. Unica
luce in tanta oscurità, il volontariato che in Italia sembra funzionare
benissimo, anche perché fortemente sostenuto dalla chiesa e dalla carità
cristiana in genere.
Poiché anche noi, Paola ed io, svolgiamo da vari
anni un’attività formativa non remunerata, la mia prima reazione è stata
positiva: ecco chi alla lunga ci tirerà fuori dal tunnel della disoccupazione!
Poi ho riflettuto – qualcuno mi ha fatto riflettere. Il volontariato va nella
stessa direzione di coloro che il lavoro non lo pagano ma lo sfruttano, è più
dannoso che benefico. Infatti:
-
toglie
le castagne dal fuoco a chi ha l’effettiva responsabilità della situazione di
dissesto economico
-
lega a
se i beneficiati e li tiene sotto ricatto morale
-
sottovaluta
il lavoro a fronte del capitale
-
favorisce
il lavoro non pagato e, così facendo contrasta un naturale diritto del
lavoratore
-
sovverte
l’equilibrio sociale.
Diverso è il caso, come quello mio e di Paola,
in cui il lavoro offerto gratuitamente
-
è
compensato da una remunerazione procapite ad altro titolo e sufficiente al fabbisogno
familiare
-
è svolto
a fini di ricerca e sperimentazione sociale
-
non
costituisce in alcun modo un rapporto del tipo carità-gratitudine
-
tutt’al
più risponde a un’esigenza di giustizia sociale.
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