martedì 7 agosto 2012

Quali affamati?

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I nostri vicini di casa, quelli le cui condizioni di vita potrebbero essere le nostre solo che il vento soffiasse da un’altra direzione? O anche le condizioni di chi vive una realtà profondamente diversa, per noi addirittura impensabile?
Un boscimano o un aborigeno della Nuova Guinea lo pensiamo molto meno sensibile alle privazioni che un newyorchese, un parigino; o un clochard più resistente al freddo di un abitante dei ‘quartieri alti’. Ci fa comodo pensarlo, e il mondo degli affamati non raggiunge quasi mai gli inquilini della porta accanto. Sappiamo, anche per averli visti in televisione, che a qualche miliardo di chilometri da noi uomini e donne come noi non sanno che cosa dar da mangiare domani ai loro figli. Sappiamo anche le migliaia di chilometri non sono nulla sul nostro minuscolo pianeta, men che nulla per le nostre capacità di comunicare a distanza. Eppure, quando si parla di umanità, questa sembra decrescere con la distanza, non tanto chilometrica, facilmente superabile, quanto culturale, e allora può capitare che l’extracomunitario badante in casa nostra ci sia più lontano e, forse, più affamato di suo fratello rimasto in Tasmania.

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