mercoledì 28 settembre 2011

Tranquilla grandiosità - scavalcata

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È stato certamente un caso che la televisione abbia trasmesso il Requiem tedesco di Brahms il giorno dopo della Missa Solemnis, ma questo caso ci ha permesso di confrontare due capolavori, l’uno ‘mancato’ come dice Adorno, l’altro, il Requiem, pienamente realizzato. Non avrebbe molto senso usare di questa occasione per stabilire una gerarchia tra i due, troppo radicalmente diverse essendo sia l’impostazione tecnica sia il retroterra ideologico dei due lavori. Da un lato la perfezione formale e la levigatezza del linguaggio brahmsiano, perfezione e levigatezza che non si riduce però mai all’ovvietà; dall’altro la prorompente, quasi astorica novità del linguaggio beethoveniano, a tratti come vittima della sua stessa temerarietà. Si osservino per esempio le tendenze arcaizzanti in ambedue, tendenze riaffioranti qua e là anche nella Nona Sinfonia e nei successivi quartetti beethoveniani, definitivamente incorporata nella grammatica armonica in Brahms. Di conseguenza spariscono in quest’ultimo le disuguaglianze, talora quasi incompatibilità che caratterizzano lo stile dell’ultimo Beethoven a favore di una maggiore coerenza e uniformità comunicativa. D’altro canto il livello evolutivo raggiunto dal linguaggio armonico nel corso del Ottocento permette al compositore di sviluppare, anche grazie al recupero, in veste moderna, del contrappunto rinascimentale e bachiano, una complessità che all’epoca di Beethoven era raggiungibile solo al prezzo di discontinuità e trasgressioni linguistiche.

Tutto questo spiega in parte l’impressione di ‘non risolto’ nella Missa Solemnis di contro all’inattaccabile compiutezza del Deutsches Requiem. Per un’altra parte la discrepanza tra i due lavori va forse attribuita al retroterra ideologico cui ho accennato. Temperie ancora post-rivoluzionaria, idealistico-umanitaria nell’un caso, acquetata e sicura ormai “all’ombra del potere” (Thomas Mann) nell’altro. In Brahms peraltro l’intimismo romantico che di quell’‘ombra’ andava in cerca sembra –forse per influenza di Beethoven– aspirare esso stesso a quel potere. Di qui la tranquilla grandiosità del Requiem a fronte di una grandezza instabile, malsicura, corrosa dai suoi stessi dubbi nella Missa. Con le sue opere estreme, compressa la Missa, il compositore più anziano scavalca il più giovane sulla via che porterà al disfacimento della lingua musicale europea e dell’ideologia della stabilità.

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