giovedì 15 settembre 2011

De viris illustribus (iv)

Brueghel – Il combattimento del Carnevale e la Quaresima
[198]
Dondo (o Dando) d'Alghero (o Dalgherio), saggista e poeta sardo, naturalizzato toscano, vissuto a Firenze tra la fine del Duecento e i primi decenni del Trecento. Non lasciò mai la città di adozione, salvo brevi periodi di vacanza. A nove anni –presto, quindi, anche per quei tempi– sposò una tal Bice, figlia del popolo, cui rimase fedele e devoto per tutta la vita. Ciò non gli impedì tuttavia di avere, con lei e con alcune sue amiche, cento figli, a ciascuno dei quali intitolò una canzone (era infatti anche musicista).
La sua opera, vastissima, è giunta a noi solo in copie dei suoi contemporanei o posteri immediati. Ricordiamo, oltre all’opus maximum di cui tra breve,
• un trattato sul turpiloquio toscano,
• una raccolta di Canti conviviali,
• un elenco di buoni propositi per una vita migliore,
• il Canzoniere della domenica ad uso delle coppiette.
Su queste e altre opere di contorno domina però il suddetto opus maximum, cioè la Commedia del vino, che lo occupò senza interruzioni fino alla morte. Non si tratta, nonostante il nome, di un lavoro teatrale, ma di poema epico-didascalico costituito dalle cento canzoni cui ho già accennato. Queste sono così distinte e raggruppate:
• trenta tre di argomento minerario raccolte nelle miniere dell’isola d’Elba dalla viva voce dei minatori,
• trenta tre ‘canti di montagna’ raccolti parte sulle Dolomiti, parte in Piemonte,
• trenta tre di argomento decisamente licenzioso, presumibilmente raccolte nelle bettole fiorentine,
• una canzone introduttiva che sembra non sia originale, dal titolo “Volare”.
Tutte queste canzoni erano assai diffuse e venivano cantate a ogni angolo di strada, tanto che le autorità di Firenze e di molte altre città tentarono, senza risultato, di vietarle per non bloccare il mercato delle novità. Tale era la popolarità di Dondo d’Alghero.
La tradizione pittorica ce lo raffigura piuttosto magro, dal profilo aquilino. Un’altra tradizione –letteraria– lo vuole basso, grassottello, col naso grosso, perennemente arrossato.
[Dedico questo postino all’amico e illustre italianista Nino Borsellino.]

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