[Dialogante 2] Ancora una
volta una coppia contraddittoria – anarchia, controllo – che avrebbe tutto l’interesse
(o meglio l’interesse lo avremmo noi) a deporre la contraddittorietà e arrivare
a un accordo.
[Dialogante 1] Un primo
modello di questo accordo ce lo fornisce la ‘natura’ stessa, ed è il modello
dell’alternanza: c’è un tempo per il controllo – la veglia – e uno per l’anarchia
– il sonno – , ma è un modello troppo divaricato per garantire un accordo.
Ciascuno dei contendenti ha tempo a sufficienza per produrre i guasti di cui è
capace.
[Dialogante 2] Occorrerebbe
una commistione tra i due che gli sottraesse la possibilità di agire per
proprio conto.
[Dialogante 1] Qualcosa del
genere gli uomini l’hanno tentata inventando concetti come giustizia, diritto,
equità, solidarietà ecc.
[Dialogante 2] Cui da
subito hanno contrapposto criteri come potere, diseguaglianza, competizione,
sopraffazione ecc.
[Dialogante 1] … e facendo
di questi ultimi i vincitori.
[Dialogante 2] Anche l’invenzione
della ‘morale’ e, al di là di questa, della ‘religione’ hanno avuto la funzione
primaria di costringere la mente entro confini controllati…
[Dialogante 1] … ma
soprattutto controllati da un potere tendenzialmente non controllato (in
qualche caso addirittura ‘assoluto’).
[Dialogante 2] Nei casi ‘migliori’
– cioè meno sbilanciati tra i vari concorrenti al potere – il cittadino si
trova, come Arlecchino, a essere servitore di due padroni.
[Dialogante 1] Il problema
da risolvere, dal singolo come dalla collettività, era pertanto l’unificazione
di queste condizioni, ambedue servili, ma, più in generale ancora l’unificazione
tra la condizione di dipendenza – da più poteri – e quella di autonomia.
[Dialogante 2] È un
problema essenzialmente ‘politico’ in quanto tratta del rapporto
individuo-collettività…
[Dialogante 1] … già
eccellentemente risolto da formiche, api, vespe e termiti, ma in forme poco
adatte alla specie umana.
[Dialogante 2] Penso che
avremo altre occasioni per parlarne. Qui piacerebbe, se credi, considerare
questo problema in rapporto a un’altra attività, di cui siamo certamente più
aperti: la composizione artistica.
[Dialogante 1] Ne abbiamo
parlato innumerevoli volte, ma il tema è sconfinato. In tutti i casi, d’accordo:
l’arte e IMC.
[Dialogante 2] Specifichiamo:
l’arte come servizio, l’arte come autonomia.
[Dialogante 1] Siamo vicini
all’eterno problema della libertà. L’artista come campione di libertà…
[Dialogante 2] Nulla di più
sbagliato: Michelangelo e i Papi, Palestrina e il Concilio Vaticano, Haydn e
gli Esterhazy, Dante e il Comune di Firenze, Bach e il Clero di Lipsia, Šostakovič e il potere sovietico, si potrebbe continuare così per un
pezzo…
[Dialogante 1] …eppure
nessuno vorrà negare a questi autori un esercizio della ‘libertà’ al suo più
alto grado, pur essendo essi in permanente conflitto con il potere cui dovevano
sottostare.
[Dialogante 2] Altri sono
stati più liberi o almeno si sono accordati senza grandi difficoltà con il
potere, che dalla loro ‘libertà’ riceveva lustro e vantaggi.
[Dialogante 1] Ho più di un
dubbio che costoro fossero effettivamente più ‘liberi’. C’è una condizione di
sudditanza che non viene avvertita come tale da chi la subisce. Parlo delle
sudditanze ideologiche o religiose e delle adesioni spesso irriflesse, a usi e
costumi, a gusti e mode. In quanto esseri culturalizzati siamo sempre asserviti
alla cultura di cui facciamo parte.
[Dialogante 2] Ci sono però
anche casi di aperta e dichiarata ribellione alla propria cultura.
[Dialogante 1] Credi che
chi si ribella non sia altrettanto condizionato da ciò contro cui si ribella di
colui che accondiscende?
[Dialogante 2] E allora non
c’è via di uscita, siamo comunque sottomessi.
[Dialogante 1] Conosco un
solo caso di cui non si può mai dire se stia ‘dentro’ o ‘fuori’: Mozart.
[Dialogante 2] O forse è il
caso di rivedere il concetto di ‘limiti’.
[Dialogante 1] Allora anche
quelli di ‘autonomia’, ‘indipendenza’ e quelli opposti di ‘sudditanza’, ‘schiavitù’…
[Dialogante 2] Per esempio
si dice correntemente ‘servitore della patria’ in senso laudativo, ma non lo si
direbbe se la patria fosse quella di un altro.
[Dialogante 1] C’è poi un
tipo di dipendenza da cui non possiamo prescindere ed è la dipendenza dalla
lingua che usiamo.
[Dialogante 2] Di pari dal ‘linguaggio’
in generale. Non possiamo dire che tre
più quattro fa cinque, o meglio, lo possiamo dire ma commettiamo un errore, e gli
errori in un modo o l’altro si pagano.
[Dialogante 1] È vero però
anche che i linguaggi siamo noi ad averli creati per esigenze di comunicazione,
quindi è più logico dire che sono loro a servire noi e non al contrario.
[Dialogante 2] Ci servono
alle loro condizioni…
[Dialogante 1] … che noi abbiamo stabilito: grammatica,
sintassi, le parole stesse sono nostra invenzione…
[Dialogante 2] … anche se
non sappiamo quasi mai nominarne l’inventore.
[Dialogante 1] È quasi
sempre così: gli umani inventano sistemi e regole, di cui restano poi
prigionieri: questo vale per i linguaggi, ma anche per la morale, il diritto,
le religioni…
[Dialogante 2] … cioè per
tutti quei sistemi che regolano i rapporti intersoggettivi…
[Dialogante 1] … cioè la
società. Un uomo del tutto ‘libero’ sarebbe quindi un ‘asociale’?
[Dialogante 2] Di più: non
potrebbe neppure vivere, a meno di non costruirsi una società fittizia di
animali e cose con cui ‘fare sistema’, spesso a costo di gravi malattie
mentali.
[Dialogante 1] Secondo
alcune religioni e in parte anche la nostra, l’anima sarebbe prigioniera del
corpo e costretta a seguirne esigenze e ubbie. Solo con la morte raggiungiamo
la piena indipendenza e libertà.
[Dialogante 2] Peccato però
che senza il corpo non saremo più umani.
[Dialogante 1] … e io, per
parte mia ci tengo a restarlo, anche a costo di trascinarmi appresso questo
sopportabile peso.
[Dialogante 2] Perfettamente
d’accordo.
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