sabato 3 gennaio 2015

Tratta XXVII.3 – Ancora una volta una coppia contraddittoria





[Dialogante 2]  Ancora una volta una coppia contraddittoria – anarchia, controllo – che avrebbe tutto l’interesse (o meglio l’interesse lo avremmo noi) a deporre la contraddittorietà e arrivare a un accordo.
[Dialogante 1]  Un primo modello di questo accordo ce lo fornisce la ‘natura’ stessa, ed è il modello dell’alternanza: c’è un tempo per il controllo – la veglia – e uno per l’anarchia – il sonno – , ma è un modello troppo divaricato per garantire un accordo. Ciascuno dei contendenti ha tempo a sufficienza per produrre i guasti di cui è capace.
[Dialogante 2]  Occorrerebbe una commistione tra i due che gli sottraesse la possibilità di agire per proprio conto.
[Dialogante 1]  Qualcosa del genere gli uomini l’hanno tentata inventando concetti come giustizia, diritto, equità, solidarietà ecc.
[Dialogante 2]  Cui da subito hanno contrapposto criteri come potere, diseguaglianza, competizione, sopraffazione ecc.
[Dialogante 1]  … e facendo di questi ultimi i vincitori.
[Dialogante 2]  Anche l’invenzione della ‘morale’ e, al di là di questa, della ‘religione’ hanno avuto la funzione primaria di costringere la mente entro confini controllati…
[Dialogante 1]  … ma soprattutto controllati da un potere tendenzialmente non controllato (in qualche caso addirittura ‘assoluto’).
[Dialogante 2]  Nei casi ‘migliori’ – cioè meno sbilanciati tra i vari concorrenti al potere – il cittadino si trova, come Arlecchino, a essere servitore di due padroni.
[Dialogante 1]  Il problema da risolvere, dal singolo come dalla collettività, era pertanto l’unificazione di queste condizioni, ambedue servili, ma, più in generale ancora l’unificazione tra la condizione di dipendenza – da più poteri – e quella di autonomia.
[Dialogante 2]  È un problema essenzialmente ‘politico’ in quanto tratta del rapporto individuo-collettività…
[Dialogante 1]  … già eccellentemente risolto da formiche, api, vespe e termiti, ma in forme poco adatte alla specie umana.
[Dialogante 2]  Penso che avremo altre occasioni per parlarne. Qui piacerebbe, se credi, considerare questo problema in rapporto a un’altra attività, di cui siamo certamente più aperti: la composizione artistica.
[Dialogante 1]  Ne abbiamo parlato innumerevoli volte, ma il tema è sconfinato. In tutti i casi, d’accordo: l’arte e IMC.
[Dialogante 2]  Specifichiamo: l’arte come servizio, l’arte come autonomia.
[Dialogante 1]  Siamo vicini all’eterno problema della libertà. L’artista come campione di libertà…
[Dialogante 2]  Nulla di più sbagliato: Michelangelo e i Papi, Palestrina e il Concilio Vaticano, Haydn e gli Esterhazy, Dante e il Comune di Firenze, Bach e il Clero di Lipsia, Šostakovič e il potere sovietico, si potrebbe continuare così per un pezzo…
[Dialogante 1]  …eppure nessuno vorrà negare a questi autori un esercizio della ‘libertà’ al suo più alto grado, pur essendo essi in permanente conflitto con il potere cui dovevano sottostare.
[Dialogante 2]  Altri sono stati più liberi o almeno si sono accordati senza grandi difficoltà con il potere, che dalla loro ‘libertà’ riceveva lustro e vantaggi.
[Dialogante 1]  Ho più di un dubbio che costoro fossero effettivamente più ‘liberi’. C’è una condizione di sudditanza che non viene avvertita come tale da chi la subisce. Parlo delle sudditanze ideologiche o religiose e delle adesioni spesso irriflesse, a usi e costumi, a gusti e mode. In quanto esseri culturalizzati siamo sempre asserviti alla cultura di cui facciamo parte.
[Dialogante 2]  Ci sono però anche casi di aperta e dichiarata ribellione alla propria cultura.
[Dialogante 1]  Credi che chi si ribella non sia altrettanto condizionato da ciò contro cui si ribella di colui che accondiscende?
[Dialogante 2]  E allora non c’è via di uscita, siamo comunque sottomessi.
[Dialogante 1]  Conosco un solo caso di cui non si può mai dire se stia ‘dentro’ o ‘fuori’: Mozart.
[Dialogante 2]  O forse è il caso di rivedere il concetto di ‘limiti’.
[Dialogante 1]  Allora anche quelli di ‘autonomia’, ‘indipendenza’ e quelli opposti di ‘sudditanza’, ‘schiavitù’…
[Dialogante 2]  Per esempio si dice correntemente ‘servitore della patria’ in senso laudativo, ma non lo si direbbe se la patria fosse quella di un altro.
[Dialogante 1]  C’è poi un tipo di dipendenza da cui non possiamo prescindere ed è la dipendenza dalla lingua che usiamo.
[Dialogante 2]  Di pari dal ‘linguaggio’ in generale. Non possiamo dire che tre più quattro fa cinque, o meglio, lo possiamo dire ma commettiamo un errore, e gli errori in un modo o l’altro si pagano.
[Dialogante 1]  È vero però anche che i linguaggi siamo noi ad averli creati per esigenze di comunicazione, quindi è più logico dire che sono loro a servire noi e non al contrario.
[Dialogante 2]  Ci servono alle loro condizioni…
[Dialogante 1]  … che noi abbiamo stabilito: grammatica, sintassi, le parole stesse sono nostra invenzione…
[Dialogante 2]  … anche se non sappiamo quasi mai nominarne l’inventore.
[Dialogante 1]  È quasi sempre così: gli umani inventano sistemi e regole, di cui restano poi prigionieri: questo vale per i linguaggi, ma anche per la morale, il diritto, le religioni…
[Dialogante 2]  … cioè per tutti quei sistemi che regolano i rapporti intersoggettivi…
[Dialogante 1]  … cioè la società. Un uomo del tutto ‘libero’ sarebbe quindi un ‘asociale’?
[Dialogante 2]  Di più: non potrebbe neppure vivere, a meno di non costruirsi una società fittizia di animali e cose con cui ‘fare sistema’, spesso a costo di gravi malattie mentali.
[Dialogante 1]  Secondo alcune religioni e in parte anche la nostra, l’anima sarebbe prigioniera del corpo e costretta a seguirne esigenze e ubbie. Solo con la morte raggiungiamo la piena indipendenza e libertà.
[Dialogante 2]  Peccato però che senza il corpo non saremo più umani.
[Dialogante 1]  … e io, per parte mia ci tengo a restarlo, anche a costo di trascinarmi appresso questo sopportabile peso.
[Dialogante 2]  Perfettamente d’accordo.

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