[È noto che in origine lo scritto autobiografico Goethe era intitolato Wahrheit und Dichtung, solo in un
secondo momento divenuto Dichtung und
Wahrheit.]
[Dialogante 1] Perché lo ha cambiato?
[Dialogante 2] Più che cambiato direi che lo ha ‘anagrammato’.
[Dialogante 1] Concettualmente mi sembra sia rimasto
invariato. Ambedue le collocazioni – al primo o all’ultimo posto – appaiono
equivalenti, ugualmente rilevanti per il lettore
[Dialogante 2] Anche se a quel und vogliamo annettere un valore alquanto dissociativo, tale valore
si mantiene in ambedue le varianti.
[Dialogante 1] Allora perché il ripensamento?
[Dialogante 2] Non vedo che una possibile ragione!
[Dialogante 1] E quale?
[Dialogante 2] Il ‘peso fonetico’, che nel primo caso cade
sulla i di Dichtung nel secondo sulla a
di Wahrheit.
[Dialogante 1] E allora?
[Dialogante 2] Evidentemente lo soddisfaceva di più chiudere
sull’apertura della a che sulla
chiusura della i.
[Dialogante 1] Non solo una questione di fonetica ma anche
con riflessi ideologici.
[Dialogante 2] Pensi che la speculazione letteraria
raggiunga in Goethe questa finezza di udito?
[Dialogante 1] Se è per questo, credo che andasse anche
oltre, del resto.
[Dialogante 2] Del resto, molto più modestamente, non credi
che la nostra titubanza sul titolo da dare a queste riflessioni siano dello
stesso tipo: rapporto oppositivo – brevità/lunghezza – tra titolo e sottotitolo?
[Dialogante 1] … e forse anche il lieve sconcerto prodotto
da quell’opposizione e la sua successiva chiarificazione – metafora
ferroviaria – che tuttavia non chiarifica nulla fino al definitivo ‘libro che
non scriverò mai’.
[Dialogante 2] Espedienti plateali e grossolani a fronte
delle finezze goethiane.
[Dialogante 1] Certo, ma noi non siamo Goethe.
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