martedì 2 agosto 2011

... in numero stragrande...

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Doveva essere l'autunno del 1941 o 1942. La guerra non era ancora al suo apice, anche se i morti si contavano già a centinaia di migliaia. Delle due città cui mi sentivo di appartenere, Roma e Amburgo, solo la seconda era già stata colpita duramente. Nell’incoscienza propria dell’età e del momento storico – che vedeva addirittura qualcuno inneggiare alla guerra– l’interesse di un ragazzotto di 14- 15 anni poteva ancora essere tutto per il suo hobby favorito, nel caso mio la raccolta dei coleotteri. Ero solito dedicare la domenica alla caccia e le ore che la scuola mi lasciava libere durante la settimana alla preparazione del materiale raccolto. La fauna coleottero logica, anche nelle città, era ancora abbondante e mai c’era domenica ch’io non tornassi con un ricco bottino. Va naturalmente considerato che, essendo la mia collezione agli inizi, era relativamente facile che mi imbattessi in qualche specie per me interessante. Mi limito a parlare dei coleotteri presi a Roma e dintorni perché è qui che si è formato il primo nucleo della mia collezione, con qualche apporto amburghese. Le zone da me più frequentate, Monte Mario e Prima Porta, non esistono più per l’entomologo di oggi, coperte come sono da kilometri cubi di asfalto e cemento. Allora invece è come se avessimo a portata di mano, anche noi cittadini, un paradiso naturale oggi non più raggiungibile neppure con gli attuali mezzi di comunicazione. Le più notevoli specie si trovavano per così dire a due passi da casa, e spesso addirittura nel cuore della città. Ricordo per esempio un Rhopalopus hungaricus – raro cerambicide europeo catturato a villa borghese o il grosso stafilinide Emus hirtus della folta peluria dorata, preso sul muretto del Lungotevere delle Navi. Ma, più che gli esemplari in quanto tali, contano i ricordi connessi con le lunghe camminate fuori dal groviglio cittadino tra gli inebrianti profumi delle erbe autunnali – sono frattanto ritornato all’inizio di questo ricordo– le orecchie ronzanti di migliaia di ali in vibrazione. Nelle calme serate d’autunno infatti, si levano in volo, in numero stragrande (non so però se la cosa si verifica ancora oggi), i coleotteri stercorari, per lo più appena sgusciati dalle spoglie ninfali, in cerca dei grossi pani di sterco lasciati dai bovini al pascolo. Erano allora – soprattutto i Bubas bison e i Chironitis– a dare il suono-base, dolce e melanconico, alla campagna quasi addormentata ma a tratti risvegliata dal ronzio cupo di un Geotrupes sfrecciante nella semioscurità.

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