sabato 18 giugno 2011

Kovancina


[120] Ieri sera ho visto alla televisione la Kovancina. Non la conoscevo mentre si può dire da sempre conosco e amo il Boris nelle sue varie versioni. A un primo ascolto non posso dire che la Kovancina mi abbia colpito con la forza del Boris. Forse il proposito dell’autore non era quello di sconvolgere l’ascoltatore con la singolarità di una tragedia che, pur riflettendosi in una dimensione sovraindividuale, resta pure sempre la tragedia di un individuo condannato dal suo stesso potere. Nella Kovancina è la tragedia impersonale di un popolo o, se si vuole, dell’intera umanità privata dalla sua autonomia decisionale e tradita dalla sua stessa fede. Non so se il parallelismo grammaticale qui istituito tra potere e fede sia analiticamente corretto. Conosco troppo poco la Kovancina e il suo retroterra politico-culturale per difendere un’interpretazione costruita su un semplice ascolto e la lettura dei sottotioli apparsi sul display. Vorrei tuttavia aggiungere qualche riflessione da musicista –quale sono– senza però pretendere maggiore credibilità data le mie difficoltà auditive e la mia abituale lentezza nell’afferrare l’inconsueto.
Nei confronti dell’opera sorella ho percepito una minor caratterizzazione degli episodi, nulla per esempio di paragonabile all’incisività della scena dell’incoronazione o a quella dell’allucinazione nel Boris e neppure allo scontro tra l’innocenza infantile e la colpevolezza della condizione adulta. La tenuta stilistica ed espressiva della Kovancina sembra rispondere a un diverso progetto compositivo, per così dire orizzontale, egalitario. Il ruolo del recitativo, a metà strada tra la ritualità del canto ortodosso e una melodicità ariosa unifica di fatto i personaggi e i molti interventi corali pur mantenendo una variabilità e una duttilità che ritroveremo più tardi sul Pelléas et Mélisende.
Ancora più accentrata che nell’opera precedente ritroviamo qui il rifiuto pressoché totale della piacevolezza delle tradizionali forme chiuse come anche del potere unificante del Leitmotiv wagneriano. Se qualche affinità è riscontrabile, è piuttosto col Verdi della maturità, a cominciare dal singolare parallelismo, forse casuale tra la scena di predizione sulla Kovancina e nel Ballo in maschera.

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