lunedì 20 giugno 2011

Corsi e ricorsi


[122] Ieri pomeriggio ho ricevuto la visita di un giovane musicista in procinto di dare l'esame di maturità, per la cui prova libera aveva scelto come argomento gli anni Settanta. Lui intendeva specificatamente la musica d’avanguardia di quegli anni, e per prima cosa mi ha chiesto degli Area e di John Cage. Quanto agli Area, non ho saputo ovviamente dirgli nulla, non avendoli mai sentiti –credo che la cosa abbia scosso, e non di poco, la mia credibilità; quanto a John Cage sono stato io a meravigliarmi che lui lo conoscesse. Evidentemente i nostri UCL erano meno lontani di quanto immaginassi. Ho provato con Strawinsky: sì, un altro punto di contatto; risposta negativa invece con Hindemith e Luigi Nono. La conversazione si è allontanata poi dal terreno musicale volgendo verso il politico, il sociale. Sono così riaffiorati vecchi stereotipi come gli opposti estremismi, gli anni di piombo, stereotipi figli anch’essi di un clima ideologico non meno sclerificato di quello che con quegli slogans si intendeva condannare. Qui tuttavia il mio giovane ospite sembrava più informato, segno che la scuola aveva affrontato in qualche modo questi temi, più invero come nozioni di storia che nella loro perdurante attualità.
Dagli anni Settanta a oggi sono passati dai tre ai quattro decenni che per me e per un ragazzo non ancora ventenne hanno un sapore profondamente diverso: di perdurante attualità e di archiviazione nei polverosi scaffali di un passato irrecuperabile. Il mio interlocutore che invece, a quanto pare, era interessato al recupero di quegli anni, ha cercato, per questo suo interesse un fondamento filosofico plausibile citando una formula di più antica data: i corsi e ricorsi della storia. Negli ultimi secoli i temi tra un corso e un ricorso storico si sono andati esponenzialmente accorciando: il Rinascimento ha ripreso la classicità a quasi due millenni di distanza; il Neoclassicismo sette-ottocentesco ha aspettato meno di quattro secoli per ripresentarsi; quello novecentesco sì e no un secolo. Di lì in poi le varie correnti corrono parallelamente l’una all’altra ed è come se la storia convivesse con se stessa in vari strati di contemporaneità. Gli anni Settanta sono, possono essere ancora i nostri, così come i decenni, i secoli, i millenni che ci hanno preceduto. Il tempo, siamo noi a costruirlo, sta a noi decostruirlo. A questo servono il pensiero, l’arte.

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