mercoledì 6 aprile 2011

Tiratene le conseguenze


[73] Quando dico ‘Fido è un cane’ intendo dire che ‘Fido è un elemento della classe dei cani’. Il verbo essere non identifica infatti –non può farlo– due oggetti incomparabili, perché pertinenti a diversi livelli di significazione. ‘Fido’ designa un’entità reale (o immaginata come reale), ‘cane’ designa un’entità mentale (che forse non dovrebbe neppure chiamarsi ‘entità’) cui nulla corrisponde sul piano della realtà. L’uso del verbo essere in questi casi non è che una scorciatoia espressiva.

In ‘Carlo è buono’ il verbo essere ha funzione ‘attributiva’, cioè attribuisce a Carlo la qualità della bontà. Se dicessimo ‘Carlo è una persona buona’ ricadremmo nel caso precedente. Comunque la funzione attributiva (più spesso si dice ‘predicativa’) è legata al punto di vista –all’UCL– di chi l’attribuisce. L’uso più frequente del verbo essere è tuttavia puramente grammaticale, per determinare modo e tempo del verbo, e in tal senso la sua partecipazione al processo di significazione è piuttosto scarsa.

Altro il caso della frase ‘Dio è’, dove con l’uso assoluto del verbo intendiamo certificare linguisticamente un dato di fatto indimostrabile: funzione fondante di un concetto (qui quello di Dio) ovvero sua indebita traslazione dal piano linguistico a quello ontologico. Verificate quanto vado dicendo con il parere di un effettivo filosofo del linguaggio (io non lo sono di certo) e, se lo ritenete opportuno, tiratene le conseguenze.

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