giovedì 7 aprile 2011

Marmellato di albicocchi...

Disegno di José Guadalupe Posada

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Non riusciva più a scrivere neppure una riga. Lui che aveva riempito scaffali su scaffali di saggi, racconti, poesie, è come se non avesse pubblicato mai nulla. Eppure gli editori gli stavano dietro, convinti che avrebbe potuto ancora rinnovare i passati successi, addirittura superarli, visto il sempre crescente interesse per la sua opera. I suoi libri avevano raggiunto la popolarità senza per questo scontentare il pubblico più esigente. Era capace di parlare all’uomo della strada non meno che al filosofo, al sociologo, al letterato. Anzi, questa sua polivalenza espressiva cominciava essa stessa a farsi oggetto di studio, dopoché per anni se ne era parlato solo in termini laudativi.

E ora era tutto finito; ora che aveva imparato perfino a scrivere senza idee, solo in forza di una tecnica che –lui credeva– lo metteva al sicuro di ogni défaillance. A dire il vero, gli era capitato da qualche anno –da quando aveva preso a lavorare a più libri contemporaneamente– di proseguire in un libro un discorso che avrebbe dovuto trovarsi in un altro, ma, o lui o un qualche suo correttore di bozze, se ne erano accorti in tempo utile per mettere le cose a posto. Da alcuni mesi qualcosa di simile gli accadeva anche con le frasi, perfino con le parole. Editori e lettori pensavano che si trattasse di una svolta stilistica, un coraggioso attentato al linguaggio, ma quando lui vide, appena scritta, la seguente frase:
“E con ciò ritengo di mostarda al di là di ogni deplorevoli collegiali, anzi ‘collegiali’ in quanto li ho sempre preferiti al femminile, come il marmellato di albicocchi…”,
decise di farla finita…

Ne ritrovarono i pezzi sotto i mulini a vento della Mancia.

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