venerdì 8 aprile 2011

Scolpire l'acqua


[75] Che vuol dire ‘capire’?

La migliore definizione mi sembra tuttora l’antica
adæquatio rei et intellectus
cioè ‘parificazione della realtà e del nostro modo di intenderla’, dove peraltro quell’intellectus è già un’anticipazione del ‘capire’ e quindi non dovrebbe partecipare alla propria definizione. Meglio vanno le cose se traduciamo intellectus con ‘immagine mentale’ (della realtà). Resta comunque –per me– l’impressione che manchi qualcosa che colleghi: la realtà –letteralmente ‘la cosa’– con la sua immagine. E questo qualcosa dovrebbe avere duplice natura di ‘cosa’ e di ‘immagine’, così da poter assumere la funzione mediatrice. Chiamiamo ‘modello’ questo ‘qualcosa’. Ma perché inserire tra la realtà e la sua immagine un terzo elemento?

Perché i primi due sono in perenne trasformazione, mentre il modello, artificialmente costruito, lo consideriamo immutabile tutto il tempo che ci serva per i necessari confronti. Ma non potremmo costruire un modello mobile, trasformazionale come la grammatica di Chomsky? È la grammatica di Chomsky a essere trasformazionale, non il suo modello. I modelli, perché ci si possa lavorare, bisogna che abbiano un certo grado di solidità. Non possiamo scolpire l’acqua a meno che non sia allo stato di ghiaccio.

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