Molti vedono la vecchiaia come
preparazione alla morte. La cosa è comprensibile nel caso di famiglie molto
religiose, che credono in una vita dopo la morte. Altrimenti che cosa ci
sarebbe da preparare?
Più utile mi sembra prepararsi
alla vecchiaia, e prima si comincia, meglio è. Ma non si tratta di abituarsi
all’idea di un’inevitabile sciagura. Certo, anche la vecchiaia può essere
infelice, come può esserlo qualsiasi età. E allora è l’infelicità il
problema, non la vecchiaia. La vecchiaia lo è solo quando giunge anzitempo. E
questo può accadere, come qualsiasi altro malanno. Spesso però né almeno
corresponsabile l’individuo stesso, se non la società tutta intera, che
declassa la vecchiaia a ingombro sociale, poi ne piange ipocritamente la
fine. L’ideologia della produttività materiale (della ricchezza prodotta) ci
nasconde altri tipi di produttività che la vecchiaia invece favorisce alcune
civiltà che giudichiamo –dall’alto della modernità– arcaiche tengono in
considerazione perfino la demenza senile attribuendole facoltà divinatorie o
taumaturgiche. Non voglio con questo farmi paladino di un ‘ritorno
all’antico’, ma solo riconnettere la vecchiaia al tronco della vita, di cui
non costituisce in alcun modo la cima divenuta sterile, ma può essere vista
come una mano protesa verso un domani non più suo.
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sabato 19 maggio 2012
La sestina pro senectute (e vi)
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