martedì 7 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (ix)


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L’estensione e la forza attrattiva di IMC si manifestano –e questo è forse l’aspetto culturalmente più produttivo– nei rapporti e nei parallelismi interdisciplinari. Il concetto, anche questo oggi molto visitato, di interdisciplinarità si limita troppo spesso agli aspetti fenomenici più accidentali, quali la contemporaneità e la somiglianza esteriore di certe manifestazioni. IMC merita comunque un’indagine più approfondita che vada al di là dell’aspetto fenomenico e che tocchi se possibile il nucleo strutturale del problema. 

Consideriamo per esempio due attività contenutisticamente e gestualmente così diverse come la produzione di immagini e di suoni –diciamo pittura e musica– sia i prodotti che i modi di produzione sembrerebbero non avere nulla in comune, tanto è vero che in nessuna cultura le troviamo accomunate da una stessa specificità artigiana (un musico non è un pittore se non per occasionale coincidenza). Se però osserviamo le operazioni mentali sottostanti a quella attività, constateremo tante e tali analogie da giustificare il termine ‘trasferibilità’ da noi adottato a significare il possibile passaggio di determinate modalità analitico-compositive da un materiale compositivo, addirittura da un linguaggio ad un altro. In alcuni casi il trasferimento è immediato, come quando sono in gioco solo operazioni elementari (per esempio spaziali), in altri occorrono più passaggi (per esempio da un linguaggio o da una grammatica ad un’altra). La trasferibilità aiuta a comprendere il funzionamento primario del cervello, la costruzione dei significati a partire dai primi costrutti sensoriali. I trasferimenti non sono mai integrali così come le traduzioni non riproducono mai esattamente i significati originari. Del resto anche le parole ripetute non restano le stesse anche nel loro significato. I linguaggi vengono interpretati come organismi in permanente trasformazione, cosicché una medesima espressione non può che assumere valore locale, eventualmente da trasferire, con alcuni cambiamenti, in contesti linguistici e situazionali diversi. Queste operazioni vengono compiute dal cervello quasi automaticamente ma sotto il controllo, anche questo automatico, di un superorganismo –la cultura– troppo spesso irriflesso nella coscienza individuale. Così la trasferibilità subisce da un lato il controllo della cultura, dall’altro controlla quest’ultima attraverso proprio la trasferibilità. Questo va e vieni dei processi culturali è di per sé stesso un meccanismo di stabilizzazione –attraverso l’instabilità– di cui sarebbe bene fare un uso intensivo ed estensivo, soprattutto in un mondo, come il nostro, in rapido cambiamento e a rischio di disfacimento.

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