giovedì 16 maggio 2013

Qualche riflessione propedeutica a una mutazione culturale (xiv)


557 (14)
Questo genere di riflessioni, protratte per molti anni, anche dopo la conclusione del mio itinerario professionale, mi hanno portato a una seconda ipotesi (dopo IMC): che ci troviamo nel bel mezzo di una transizione –o dovrei dire ‘mutazione’– antropologica dallo stadio culturale a una metaculturale. Non si tratterebbe più del passaggio da una cultura a un’altra in seguito a un’occupazione militare o una rivoluzione sociale, bensì dell’uscita definitiva da una visione del mondo (Weltanschauung) fondata su presupposti culturali di qualsiasi tipo (religiosi, ideologici, scientifici). Ciò vuol dire che presupposti del genere possono continuare a esistere a livello individuale e anche collettivo, ma che là dove sopravvivono, non vengono più assunti a fondamento sovraculturale della vita pubblica o dei sistemi normativi. Leggi e norme non cesseranno ovviamente di esistere e funzionare, ma più come garanti pratici di civile convivenza che come principi etici di valore universale. Usi e costumi conserveranno, anzi potranno accrescere la loro variabilità locale, ma depurati dalla funzione coercitiva di modello cui improntare la propria vita. In una parola le culture non spariranno, anzi si rafforzeranno nella loro unicità. La concorrenza non avrà più ragion d’essere, ciascuno imparando dall’altro ad essere sé stesso e non una sbiadita copia di quello…

Mi accorgo di essermi fatto prendere la mano dalla retorica dell’utopia, mentre quest’ultima è l’ultima cosa che ci serve per realizzare la mutazione che ci affranchi dall’ebbrezza della condizione culturale senza perdere la ricchezza di cui è portatrice quale che ne sia la provenienza. Siamo tutti esseri umani allo stesso titolo, ma ciascuno a suo modo, ed è interesse comune che ci conserviamo nella nostra inconfrontabile singolarità.

Nessun commento: