sabato 28 agosto 2010

Storia dell’artigiano corretto e del mobiliere che non lo è


(Sedia prodotta dallo studio giapponese di design Nendo)

(La storia è solo parzialmente inventata)

Un tale, convinto assertore dell’artigianato di contro all’industria dei consumi, si trasferisce dalla grande città, di cui è stufo, in un piccolo paese in cui gli si adopera a ridar vita al locale artigianato del mobile, ormai quasi estinto. Per far questo, rifiuta però il passivo ossequio a una tradizione non più sentita da nessuno e vuol ricominciare da capo. Adotta quindi un corretto itinerario metodologico, che dallo studio del legname (struttura delle fibre, durezza, stagionatura ecc.) attraverso la progressiva acquisizione dei vari modi di lavorazione e un’ampia, fondata ricerca di nuove tecniche, porta lui e il gruppo dei suoi collaboratori –per lo più giovani del luogo, in cerca di una qualificazione professionale– alla progettazione ed esecuzione della prima sedia, artigianalmente pregevole, ma un po’ cara.

Intanto nel paese vicino un altro tale ha aperto una piccola fabbrica di mobili in serie. Ha assunto da fuori il personale specializzato, acquista legname all’ingrosso e a basso prezzo senza curarsi troppo della qualità, non cerca né sperimenta ma ricalca i modelli di mercato, e il giorno in cui l’artigiano espone la sua sedia, apre una ‘mostra del mobile’. Da quel giorno nella zona non si parla più di artigianato.

(da Musica prima)



venerdì 27 agosto 2010

Unsere Stimmen haben gesungen [CBP-IIa:5]


Qualche dato su questa Cantata per coro e orchestra del 1999 (codice CBP-IIA:5 del catalogo Conti, titolo italiano "Le nostre voci hanno cantato"), il cui facsimile è stato curato da Edizioni Van der Mispel.

Composizione del coro: dodici cantanti (tre soprano, tre contralto, tre tenori e tre bassi, inclusi i solisti)

Composizione dell'orchestra (che in caso di necessità si può ridurre):

  • fiati: flauto, oboe, corno inglese (in Fa), e fagotto
  • archi: tre violini I, tre violini II, tre viole, due violoncelli, un contrabbasso
  • organo come accompagnamento (o eventualmente una tastiera elettronica)

Secondo Boris Porena, la cantata si allinea in modo visibile –non solo nella scelta dell’organico– con il modello bachiano, specialmente con le prime opere del periodo nel quale Bach ha occupato l’incarico di organista a Mühlhausen (1707-1708) (come, ad esempio, Gott ist mein König, BWV 71).


Leggere di più ...Il manoscritto comprende 96 pagine in tre quaderni, di cui la partitura ne occupa 92. Venne concluso il giovedì 4 Febbraio 1999.

Quanto al testo tedesco, è originale di Boris Porena stesso. Composto nell’estate del 1990 a Ratingen, comprende 48 versi distribuiti in nove strofe. Il seguente schema mostra come lo sviluppa la cantata.

martedì 24 agosto 2010

Un'ascensione sognata


I 6.189 facili metri dell'Imja Tse (Picco dell'Isola) nel Nepal

Non era la più alta delle cime ed era stata scalata molte volte, anche da dilettanti della montagna. Ma per lui era sempre stata un traguardo irraggiungibile a causa delle sue non ottimali condizioni fisiche. Finché un giorno – aveva fatto lunghe cure per irrobustire il corpo, correggere certe intemperanze del cuore, alleggerire la respirazione … finché un giorno, il giorno, a lungo sognato e preparato, arrivò. Alcuni amici che già erano stati in vetta, si dichiararono disposti a salire con lui; lui però voleva sentirsi solo in quella che considerava l’impresa della sua vita. Rifiutò ogni compagnia, anche la più cara e s’incamminò.

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Pur non essendo la più alta del gruppo, la cima che aveva scelto si avvicinava comunque ai seimila metri, una bella altezza per chi non aveva mai superato i tre mila. Grosse difficoltà alpinistiche non ne presentava, se si prescinde dalla durata dell’ascensione –circa quindici ore dal campo base– e dal lungo tratto da percorrere sulla lingua del ghiacciaio sottostante la vetta. Il freddo e il ghiaccio non lo impensierivano, anche perché era ben equipaggiato secondo il più moderno standard alpinistico. Ramponi, piccozza, corda, chiodi, moschettoni … e poi la via era attrezzata, nei tratti più scabrosi non c’era che da agganciarsi al materiale già predisposto … Tuttavia non era quel che si dice una passeggiata. Una certa ansia, se non proprio timore, lo accompagnò per le prime ore, ma poi, man mano che si accorgeva che, tutto sommato, il lungo periodo di preparazione stava dando i suoi frutti, all’ansia subentrò una crescente sensazione di fiducia, fiducia in sé stesso, nel suo fisico, ma soprattutto nella montagna che sentiva amica, incapace di tradirlo. Le ore passavano a un passo, come il suo, sempre più lento. Non duravano più un’ora ciascuna ma due o tre. La stanchezza nelle gambe e il respiro sempre più corto lo costringevano a una pausa ogni mezz’ora. Ma per l’orologio non erano più di dieci minuti. Ritornò, più grave, l’ansia dell’inizio, ma la vista del cielo oltre la cima –un azzurro cupo, quasi nero– lo attraeva con più forza di quanto la debolezza lo trattenesse.

Ancora un’ora –o erano tre?– e ce l’avrebbe fatta. A pochi metri … sembrava … uno scoramento … poi … un’ultima stretta di denti … e il sogno di molti anni divenuto realtà.

“Niente di tanto drammatico –pensò– forse avrei potuto sognare anche di più. Certo, quasi sei mila, un migliaio di più del Monte Bianco, ma tre meno del Everest … Ora comunque si tratta di scendere. Niente di che, non più di quattro o cinque ore. Arriverò al campo base prima di notte. Posso concedermi anche il lusso di uno spuntino e di un breve riposo …”

Pochi istanti dopo ecco il nostro sognatore sulla via del ritorno. Era la stessa dell’andata e gli sembrava di riconoscere ogni passo percorso. Fatica non ne provava più, anzi lo pervadeva un senso di leggerezza come quando effettivamente si sogna di scivolare aleggiando lungo un pendio. Il campo base non era ancora in vista, ma lo sarebbe stato tra poco. Non aveva gli sci ai piedi, eppure non aveva bisogno di muoverli, scorrevano sul ghiaccio senza il suo aiuto. Eppure … che strano, il ghiacciaio non gli era sembrato così lungo … Il fondo valle, il campo base man mano scomparvero dalla sua mente e la lingua ghiacciata divenne tutto il suo mondo.

Ritrovarono il corpo, alcune settimane dopo, a pochi metri dalla vetta.


Boris Porena, 2008

sabato 21 agosto 2010

Un ricordo di Erich Vio




Oggi pubblichiamo una poesia di Erich Vio (Fiume, 1910 – Andorra, 1999). Questo mio amico, chirurgo di carriera internazionale, ha lasciato un'opera poetica trilingue (aggiungendo alla sua lingua madre -il tedesco- l’italiano e l’inglese) assai interessante e inconsueta. Adattandosi alle costrizioni della forma classica, e della rima consonante, tratta con rigore e chiarezza argomenti scientifici e contemporanei. Opera poco conosciuta, penso.

La nostra cultura odierna, da una parte estremamente mercantilizzata ed orientata al 'successo' (commerciale, di vendite), dall'altra parte satura di una densità di produzione senza precedenti, sembra priva di strumenti per trattare i 'minori' di un determinato ambito culturale. Il ché è un peccato, visto che i 'minori' risultano sicuramente cruciali per capire un’epoca. La stessa qualifica di ‘minore’ è di solito soggettiva - Wagner, per farne un esempio, considerava a Schumann e Schubert musicisti minori quasi completamente privi di interesse. Personalmente, trascurerei volentieri qualche lembo della produzione dei 'maggiori' per fare spazio a questi 'minori'.

Ecco la poesia che ho scelto -dalla raccolta Fragen ohne Antwort, Domande senza risposta, 1992- nel suo originale tedesco, seguita -dopo il salto- dalla mia traduzione spontanea




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IL MISTERO DEI QUANTI

Che una particella possa trovarsi contemporaneamente in più luoghi è pressoché incomprensibile, ma che questa particella sia disposta a legarsi a un preciso punto dello spazio quando la si misura, per molti suona come una favola, eppure i fisici ci credono. È qualcosa di inimmaginabile, come un buco nero, singolarità tagliata fuori, dove le leggi della fisica non valgono più. Che un universo esista e io possa mettergliene accanto degli altri, dove la stessa particella potrebbe trovarsi (perché ci sono infiniti universi) … questo sembra così incredibile nel gioco delle diverse ipotesi cosmologiche che mi trovo costretto a dubitarne. Eppure non è un’insensatezza. I calcoli matematici hanno spinto grandi intelligenze nel fiume dell'incredibile. Abbiamo il diritto di dubitarne perché quest'ipotesi scuote le fondamenta del razionale? Dovremmo disperare della nostra mente, o fermarci stupefatti davanti al profondo mistero che l'uomo si pone come compito, quando l'oscuro rimescolio delle forze creatrici gli parla dall’estrema vicinanza come dagli spazi più lontani?

Ci sia permesso includere una parziale bibliografia delle opere di Erich Vio,

Afrikanische Gedichte, Lempp Verlag, Schwäbisch Gmünd, 1975
Irrwege der Freiheit (prosa), Ellenberg Verlag, Köln 1978 (traduzione in croato, Stranputice slobode, Hrvatski liječnički zbor, Rijeka 1997)
Die gesenkte Fackel,Ellenberg Verlag, Köln 1978
O leben – du tolles Spiel, Stoedtner Verlag, Berlin 1979
Reisebilder in Gedichten, Der Karlsruher Bote, Karlsruhe 1982
Airy Nothing, Downlander Publishing, Eastbourne 1982
Clarin Call, Downlander Publishing, Eastbourne 1983
Contribution to «Four selected Poets», Downlander Publishing, Eastbourne 1984
Far Apart, Downlander Publishing, Eastbourne 1984
The Great Divide, Downlander Publishing, Eastbourne 1985
Ein Zusammenausklang, Boesche Verlag, Berlin 1985
Einst, dereinst und jetzt, Verlag Graphikum, Göttingen 1989
Sterne, Atome und Seelen – Eine Trilogie, Verlag Graphikum, Göttingen 1991
Traum und Erlebnis, Verlag Graphikum, Göttingen 1991
Fragen ohne Antwort – Stimmungen zu Natur und Kunst, Verlag Graphikum, Göttingen 1992
Abschied, aktuell Verlag für Literatur der Gegenwart, Weinstadt 1993
Das Schauspiel – Eine Trilogie,aktuell Verlag für Literatur der Gegenwart, Weinstadt 1994
Inseln im Strom, Verlag Graphikum, Göttingen 1994
Gedanken die fragen und gehen – Gedichte, die lauschen und sehen, aktuell Verlag für Literatur der Gegenwart, Weinstadt 1995
Mein Ich im Du des Alls, aktuell Verlag für Literatur der Gegenwart, Weinstadt 1996
Dreisprachig/Trilingual/Trilingue, Lesedition „ad acta“, Wien 1996

mercoledì 18 agosto 2010

Perchè IMC? (terza parte)


La sopravvivenza, intesa come controllo dell'aggressione, disponibilità al dialogo con UCL differenti dal nostro e la conseguente integrazione del diverso, è l'ultima finalità del nostro contributo pedagogico. Gli sforzi individuali e sociali finora compiuti in questa direzione non garantiscono per nulla la nostra sopravvivenza. Ne deduciamo che il problema sottostante è di natura complessa e in ogni caso non risolvibile con una "ricetta" (vale a dire una maniera di intervento) ben specifica.
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Senz'altro ci vorrebbe tutta una classe di interventi. Ora, una classe di interventi si costruisce se c'è un comune orizzonte metodologico. In effetti, IMC ci ha portato a ricercare un comportamento culturale di base.
Si tratta dunque della gestione del culturalmente diverso, che sinora suscita troppo spesso l'aggressione, attraverso l'analisi dell'incontro tra più persone, partecipi di UCL diversi, che si trovano, per un motivo o per l'altro, a fare, forse a vivere, insieme. In che modo torna utile un orientamento metodologico come quello suggerito da IMC? Secondo le nostre esperienza, una situazione del genere, potrebbe giovarsi di un modello interattivo che abbiamo chiamato circuito autogenerativo, modello in cui vige un progetto di individuazione delle alternative che a sua volta innesca delle modulazioni culturali, giungendo - nel caso ideale - alla composizione di un UCL accettabile da tutti i partecipanti. Lo strumento fondamentale che permette di raggiungere questo scopo l'abbiamo chiamato catabasi metaculturale, i cui presupposti risiedono nella trasferibilità dei meccanismi mentali impiegati, la cui conseguenza è l'analisi metaculturale.

martedì 17 agosto 2010

Perchè IMC? (seconda parte)


La risposta è, ancora una volta, ideologicamente semplice, ma di difficile attuazione. Il suo nome è scuola, intesa come progetto educativo in direzione di una società planetaria. Il solo termine di società planetaria genera sospetti e ben a ragione: l'immagine di una società livellata senza più diversità, uguale a Roma come a Tokyo, a New York, Mombasa, ci spaventa, eppure sembra che proprio in questa direzione ci stiamo movendo. Leggere di più ... Il dilagante consumismo, il modello sociale unico offertoci dal mercato mondiale e dalle multinazionali sembrano ammettere il diverso solo in quanto oggetto di sfruttamento economico... E' questa la società planetaria a cui la scuola dovrebbe prepararci, cui la stessa ipotesi qui discussa (IMC) vorrebbe indirizzarci?
Certamente no: se fino a ieri lo spettro da temere è stato il comunismo reale (cioè nella veste datagli dall'Unione Sovietica), oggi lo è l'appiattimento sull'ideologia vincente: quella del modello concorrenziale. La quale, proprio per sopravvivere, ha bisogno anche lei di ideologie, modelli, di UCL (universi culturali locali) alternativi. Ce lo dicono i biologi, i genetisti, gli etologi, gli antropologi: la vita ha bisogno della diversità e dove questa viene meno, anche la vita è in pericolo. Ma se la diversità genera conflitto, e il conflitto la guerra, il pericolo per la vita è ancora maggiore.
Come uscire da questa antinomia, come sperare ancora nella sopravvivenza? Innanzitutto non limitandosi a sperare ma agendo di conseguenza. La pace, oltre alla veste ideologica, ha bisogno di una tecnica che la realizzi. Finora la tecnica si è alimentata soprattutto delle ricerche in campo militare, ha avuto nella guerra il suo principale motore evolutivo; oggi il progresso tecnologico deve mirare alla convivenza pacifica delle diversità, cioè alla loro salvaguardia e composizione. E questo fin dalla scuola dell'infanzia. IMC (ipotesi metaculturale) proprio questo si propone: contribuire ad una tecnica didattico-pedagogica in direzione della sopravvivenza.

lunedì 16 agosto 2010

Perchè IMC? (prima parte)



E' presto detto [...]: dialogare anzichè difendere, accettare pregiudizialmente la parità del diverso. Tutti parlano oggi di tolleranza, ma la parola stessa è inadeguata. Il diverso non basta che venga "tollerato" (chi di noi si contenterebbe di essere tollerato?), occorre che lo si cerchi come si cercherebbe una ricchezza, un vantaggio.
Leggere di più ... Fino a ieri (ma siamo sicuri che oggi le cose vadano altrimenti?) il diverso, comunque inteso, era già quasi un nemico, qualcosa di cui diffidare, da tenere a bada per non farsene inquinare. Gli odi interetnici non hanno altra origine, altra motivazione, ed è singolare come una forma così arcaica di pensiero sia potuta sopravvivere fino ai nostri giorni, nel pieno dell'era tecnologica ed informatica. E non solo è sopravvissuta questa mentalità, ma per più volte nel corso del Novecento ha messo seriamente a repentaglio la sopravvivenza stessa del genere umano e tuttora non c'è da star sicuri.
Ma non dovrebbero bastare i continui richiami alla pace, alla solidarietà tra i popoli, ai diritti dell'uomo, alla fratellanza universale, richiami di cui sono pieni l'etere informatico e la carta stampata di tutto il mondo?
No, non bastano.
Un conto è l'ideologia della pace, della fratellanza, un conto i comportamenti che dovrebbero seguirne ma che il più delle volte la contraddicono, a cominciare dalle piccole cose, dal litigio in famiglia alla sopraffazione di un concorrente. Sappiamo tutti che la guerra non è più una soluzione proponibile per risolvere i conflitti (ce lo impedisce la bomba H), eppure la guerre continuano a farsi, così come ci si droga ben sapendo a che rischi si va incontro. Probabilmente occorrerà del tempo a che la pratica della pace consegua alle dichiarazioni ideologiche, ma intanto che cosa fare, come preparare il terreno a un futuro di dialogo e di reciproca "modulazione culturale"?

domenica 15 agosto 2010

Domenica ... che noia ...


Qualcuno propone un argomento?

domenica 8 agosto 2010

Un grande immenso amore




La purezza incontaminata di un amore mentale, eterno, di incalcolabile intensità.

giovedì 5 agosto 2010

Tre riflessioni sulla vita

martedì 3 agosto 2010

Ancora suoni



Quanto spazio occupa un suono? Quanti universi sonori possono essere presenti contemporaneamente nello stesso spazio?

domenica 1 agosto 2010

Suoni



Semplici vibrazioni dell'aria in grado di costruire interi universi, paralleli al nostro, in grado di dipingerlo, di sentirlo, di immaginarlo.

venerdì 30 luglio 2010

Progresso e IMC



Riprende la riflessione su progresso, crescita infinita e sopravvivenza, con la proposta di una possibile via di uscita.
Di che si tratta?

giovedì 29 luglio 2010

Transessualità

Ancora una metaparola, questa volta con illustrazione veneziana.



(Gender Obsolescence - Human Installation #1 - di Kyrahm e Julius Kaiser - Venezia 2009)

I transatlantici ci portano da una sponda all’altra del Atlantico.
Le transazioni ci fanno superare le barriere di un contenzioso.
La transessualità ci fa superare il limite del sesso.
Perché ci sentiamo respinti dalla transessualità?

Perché è ‘contro natura’. Ma non sono poche le specie animali ermafrodite o di sesso variabile nel tempo.
E, se il fenomeno non è raro anche nella specie umana, perché dichiararlo ‘contro natura’? Chi può arrogarsi il diritto di giudicare ciò che è naturale e ciò che non lo è?

Solo chi fosse fuori dalla natura. Ma chi lo è?

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Lasciamo quindi perdere il tema della ‘naturalità’ e ammettiamo che il nostro rifiuto sia essenzialmente culturale. Possiamo senza difficoltà immaginare una cultura non ostile verso la transessualità (come verso la omosessualità, addirittura verso la pedofilia), in altre parole una cultura disinibita sessualmente, senza tabù. Forse ci stiamo avviando verso una tale cultura. Per raggiungerla dovremmo però liberarci dai ‘padroni del sesso’, le religioni (almeno alcune) e le morali.

Ma transessualità non è solo un problema di codici (morali, religiosi, civili); è anzitutto un problema di identità. Ma uno è ciò che è, mescolanza variabile di elementi maschili e femminili. In questo senso ognuno di noi è in qualche misura transessuale. E, se è più femmina che maschio o più maschio che femmina è semplicemente un dato che lo riguarda e non qualcosa da valutare positivamente o negativamente. Semmai una mescolanza dei caratteri può risultare più vantaggiosa nell’affrontare la complessità delle situazioni reali che non una ‘monosessualità’ esclusiva.

C’è comunque la questione fisiologica, indubbiamente la più difficile da affrontare e risolvere, quando è possibile. La chirurgia plastica ha fatto certamente grandi progressi negli ultimi anni, grazie anche alla sperimentazione cui molti transessuali si sono sottoposti, più o meno volontariamente; ma i risultati parziali ottenuti sono ancora lontani dal corrispondere alle attese dei richiedenti, troppo definitivi sono i caratteri sessuali primari nei mammiferi.

È abbastanza strano che l’opinione comune accetti con commiserazione la malformazione di un braccio o di una gamba e rifiuti quasi come scandalosa una malformazione dell’apparato sessuale. La cosiddetta ‘malformazione’ –che altro non è che una ‘formazione’ meno probabile– può anche non riguardare la forma esteriore dell’individuo ma solo la distribuzione interna degli ormoni ed ecco i fenomeni dell’omosessualità, transessualità come anche tutte le gradazioni intermedie della normalità. E tanto meno si giustifica l’ingerenza della morale e delle religioni in questioni che riguardano unicamente l’Io individuale. Ma se è proprio questo Io a sentirsi scisso, a non riconoscersi pienamente, e questo perché gli manca il riconoscimento esterno, non dovrebbero proprio la morale e la religione per prime offrigli questo riconoscimento allo stesso titolo che a qualunque altro?

Se la transessualità è una malattia, chi è il malato, il transessuale nella sua ‘naturalità’ o chi di questa sua ‘naturalità’ non si accorge?

martedì 27 luglio 2010

Gerarchia - Livelli

Proponiamo oggi per i nostri amici e lettori un'altra Metaparola della recente opera omonima di Porena.



Illustrazione concettuale cortesia di The Daily Wh.at

È la caratteristica strutturale di molti sistemi o forse è meglio dire che è un modello di struttura che siamo soliti proiettare sugli insiemi ottenendone spesso dei risultati razionalmente comprensibili e operativamente utili. Le strutture gerarchizzate implicano dei livelli composti da elementi di livello inferiore ma con in più una proprietà 'emergente' che non si riscontra singolarmente in nessuno dei componenti. Gli esempi classici sono tolti dalla biologia come la serie cellula-tessuto-organo-organismo, oggi estendibile nei due sensi fino ai quark da una parte e la biosfera dall'altra. Questi livelli, ordinati in base al criterio di complessità crescente vengono da noi valutati in genere dal meno al più secondo questo stesso ordine –e non per esempio in ordine inverso–, con la strana eccezione che molte religioni pongono al primo livello (fondante) la struttura più complessa di tutte: la divinità creatrice. Per IMC questo ordinamento è culturale e un livello fondante non è raggiungibile razionalmente. In tempi recenti questo modello strutturale per livelli è stato riconsiderato proprio alla luce del concetto di 'complessità'. I livelli non sono caratterizzati più solo dagli elementi (strutture di livello inferiore) che li compongono, ma anche dalle relazioni che li tengono uniti o li separano, e queste relazioni possono ritrovarsi, identiche o quasi, in alcuni o tutti gli altri livelli: è la 'ricorsività' che lega tra loro i vari livelli e che è probabilmente responsabile e delle 'emergenze' di cui si diceva e della solidità interna (‘organicità’) dei livelli superiori.

Ai fini della sopravvivenza tutti i livelli e i modelli relazionali –ricorsivi e non– che ne uniscono gli elementi sono pariteticamente necessari ed è l'implicito riconoscimento di questo fatto ciò che rende le società degli insetti più solide e affidabili della nostra.