mercoledì 18 agosto 2010

Perchè IMC? (terza parte)


La sopravvivenza, intesa come controllo dell'aggressione, disponibilità al dialogo con UCL differenti dal nostro e la conseguente integrazione del diverso, è l'ultima finalità del nostro contributo pedagogico. Gli sforzi individuali e sociali finora compiuti in questa direzione non garantiscono per nulla la nostra sopravvivenza. Ne deduciamo che il problema sottostante è di natura complessa e in ogni caso non risolvibile con una "ricetta" (vale a dire una maniera di intervento) ben specifica.
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Senz'altro ci vorrebbe tutta una classe di interventi. Ora, una classe di interventi si costruisce se c'è un comune orizzonte metodologico. In effetti, IMC ci ha portato a ricercare un comportamento culturale di base.
Si tratta dunque della gestione del culturalmente diverso, che sinora suscita troppo spesso l'aggressione, attraverso l'analisi dell'incontro tra più persone, partecipi di UCL diversi, che si trovano, per un motivo o per l'altro, a fare, forse a vivere, insieme. In che modo torna utile un orientamento metodologico come quello suggerito da IMC? Secondo le nostre esperienza, una situazione del genere, potrebbe giovarsi di un modello interattivo che abbiamo chiamato circuito autogenerativo, modello in cui vige un progetto di individuazione delle alternative che a sua volta innesca delle modulazioni culturali, giungendo - nel caso ideale - alla composizione di un UCL accettabile da tutti i partecipanti. Lo strumento fondamentale che permette di raggiungere questo scopo l'abbiamo chiamato catabasi metaculturale, i cui presupposti risiedono nella trasferibilità dei meccanismi mentali impiegati, la cui conseguenza è l'analisi metaculturale.

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