[Dialogante 1] Le parentesi
che ogni tanto inseriamo nei nostri finti dialoghi sono sensate o no?
[Dialogante 2] Forse non è
il caso di assolutizzare in questo modo la domanda.
[Dialogante 1] Quale modo?
[Dialogante 2] La riduzione
a un’alternativa semplice o-o. Alcune saranno sensate, altre no, altre ancora
saranno sensate per alcuni, insensate per altri. Ci saranno infine delle
parentesi che accetteremo o meno secondo i momenti.
[Dialogante 1] In genere
pretendiamo dagli altri la chiarezza –per chiarezza intendendo appunto un sì o
un no– in noi stessi accontentandoci di un ‘forse, chissà’.
[Dialogante 2] L’intero
nostro sistema educativo privilegia le alternative semplici – nessuno direbbe
che uno più uno fa probabilmente due o che Berlino è forse la capitale della
Germania…
[Dialogante 1] … mentre la
realtà raramente risponde in modo univoco sì o no.
[Dialogante 2] E perché la
realtà è ambigua e noi vorremmo che non lo fosse?
[Dialogante 1] Per
dominarla più facilmente. Per ragioni di potere. L’ambiguità sfugge al giudizio
e a noi interessa soprattutto giudicare. Assai meno comprendere.
[Dialogante 2] Di regola
diciamo che una cosa l’abbiamo compresa quando l’abbiamo giudicata…
[Dialogante 1] … come se il
giudizio implicasse la comprensione.
[Dialogante 2] Una domanda
cui è difficile rispondere, soprattutto in termini di alternativa semplice: “Il
giudizio ha il suo fondamento nella cosa da giudicare, nella persona che
giudica o nel sistema di giudizio di cui si serve?”
[Dialogante 1] Vien fatto
di rispondere: di tutt’e tre. Ma in quale percentuale?
[Dialogante 2] Questa è
assai variabile. E ognuno dei parametri che vi partecipano è a sua volta una
variabile.
[Dialogante 1] L’unica cosa
chiara è allora l’impossibilità che sia chiaro il giudizio.
[Dialogante 2] Direi
piuttosto che il giudizio, o meglio la sentenza che lo esprime, può essere
chiarissimo. Più difficile che sia giusto…
[Dialogante 1] … con buona
pace dei tribunali.
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