[Lavorando con Valentina mi sono
accorto di avere la gamba destra un poco più lunga della sinistra. Di
conseguenza quando sto in piedi la gamba destra resta leggermente piegata al
ginocchio, mentre la sinistra resta tesa. È una lieve anomalia piuttosto
frequente che non pregiudica la stabilità. La mia vistosa instabilità, infatti,
non credo dipenda dalla gamba, ma nel cervello e dagli segnali che gli arrivano
dagli occhi e dalle orecchie. Anche la maggiore debolezza della gamba destra
(quella più lunga) probabilmente è dovuta, non tanto a un difetto primario
della muscolatura –indubbiamente più forte nella gamba sinistra– ma alla
posizione meno tesa e più rilassata. Fatto sta che l’appoggio (relativamente)
stabile ce l’ho a sinistra.
E ora l’apparente paradosso.
La gamba che mi dà più sicurezza non è
quella più stabile –la sinistra– ma l’altra, quella più lunga la traballante,
dalla muscolatura più debole.
L’aspirazione è a portata di mano.
Metaforicamente:
la sinistra è ferma, convinta, la
destra dubbiosa, in cerca di una posizione affidabile, quindi in continuo
accomodamento. La fermezza della gamba sinistra non tollera il movimento, l’instabilità
della destra non tollera la stasi, la sua immobilità è apparente, fatta di
impercettibili oscillazioni asintotiche intorno a una posizione di equilibrio
mai raggiunta.
L’assenza di movimento è forse una
condizione astratta, inverificabile nella realtà, per due ragioni:
1) per la relatività dello
spazio che non ci permette di localizzare in modo assoluto nessun punto in
esso.
2) per l’impossibilità di
esperire l’assenza di movimento: per riscontrarla infatti dovremmo sospendere
in noi e nel mondo l’attività vitale, bloccare il divenire nell’essere.
Nessuna delle due cose è in nostro potere.]
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