sabato 6 settembre 2014

Tratta XVIII.5 – Condizione astratta




[Lavorando con Valentina mi sono accorto di avere la gamba destra un poco più lunga della sinistra. Di conseguenza quando sto in piedi la gamba destra resta leggermente piegata al ginocchio, mentre la sinistra resta tesa. È una lieve anomalia piuttosto frequente che non pregiudica la stabilità. La mia vistosa instabilità, infatti, non credo dipenda dalla gamba, ma nel cervello e dagli segnali che gli arrivano dagli occhi e dalle orecchie. Anche la maggiore debolezza della gamba destra (quella più lunga) probabilmente è dovuta, non tanto a un difetto primario della muscolatura –indubbiamente più forte nella gamba sinistra– ma alla posizione meno tesa e più rilassata. Fatto sta che l’appoggio (relativamente) stabile ce l’ho a sinistra.
E ora l’apparente paradosso.
La gamba che mi dà più sicurezza non è quella più stabile –la sinistra– ma l’altra, quella più lunga la traballante, dalla muscolatura più debole.
L’aspirazione è a portata di mano. Metaforicamente:
la sinistra è ferma, convinta, la destra dubbiosa, in cerca di una posizione affidabile, quindi in continuo accomodamento. La fermezza della gamba sinistra non tollera il movimento, l’instabilità della destra non tollera la stasi, la sua immobilità è apparente, fatta di impercettibili oscillazioni asintotiche intorno a una posizione di equilibrio mai raggiunta.
L’assenza di movimento è forse una condizione astratta, inverificabile nella realtà, per due ragioni:
1)    per la relatività dello spazio che non ci permette di localizzare in modo assoluto nessun punto in esso.
2)    per l’impossibilità di esperire l’assenza di movimento: per riscontrarla infatti dovremmo sospendere in noi e nel mondo l’attività vitale, bloccare il divenire nell’essere.
 Nessuna delle due cose è in nostro potere.]

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