Nietzsche e sua sorella, 1899
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Conosco troppo poco Nietzsche per poter permettermi più
di questo postino. L’ho letto in gran parte; alcune cose, come il Zarathustra anche più di una volta; ho
scritto una cantata combinando testi suoi e miei; sono un buon conoscitore di
Thomas Mann che molto gli deve, e non solo nel Faustus; eppure non posso dire di averlo ‘capito’ – seppure il
verbo ‘capire’, applicato alla complessità di una persona ha qualche senso.
“Almeno il suo pensiero, questo l’avrei capito?”
Purtroppo no, e per due ragioni. Primo, perché ho
già difficoltà a capire un pensiero ben organizzato, sistematico e coerente,
figuriamoci il suo, balenante, desultorio, letteralmente inafferrabile.
Secondo, perché questo pensiero è inestricabilmente legato alla sua
singolarità umana, estrema e incommensurabile –per dirla alla Goethe– ma per ciò
stesso scostante, addirittura fastidiosa. Mentre, per altro verso, la sua
egoità è misurata, il ‘superuomo’ che è in lui si colora d’infanzia,
dell’impunità di un bambino che crede nel suo sogno. Che non è
necessariamente un sogno ‘buono’, ma cela in sé l’altra faccia dell’umano,
quella che non vorremmo vedere tradotta in realtà storica: l’idea della
‘superiorità’ di qualcuno su qualcun altro, Certo la superiorità cui pensava
Nietzsche nulla aveva a che fare con quella che si attribuirà la banalità
nazista o che puntualmente rinasce dall’incomprensione del diverso e dalla
sovraestimazione della forza materiale.
Stando alle numerose testimonianze, anche popolari,
il teorico del ‘superuomo’ era persona mite e gentile, un poco buffa con i
suoi baffoni neri, decisamente tragica nelle sue contraddizioni, come le
vediamo impresse nelle fotografie degli anni della follia. La sua dilaniata
personalità non è peraltro quella di un superuomo, ma di un uomo fragile che,
per non essere sopraffatto, attacca. La violenza della sua parola si ritorce
su di sé, si contorce sotto i suoi strani colpi fino a darci l’immagine,
grandiosamente pietosa, di un Ecce homo,
vittima dei suoi antagonisti, Wagner e Gesù Cristo, ambedue dominanti
etologicamente. Dal primo Nietzsche tentò, come poi Thomas Mann, di liberarsi
–senza tuttavia riuscirci– il secondo era probabilmente cresciuto in lui fin
dalla fanciullezza e non l’ha mai abbandonato. A noi restano, commoventi, le
tracce delle immensi lotte.
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