martedì 17 luglio 2012

Una parola su Nietzsche


Nietzsche e sua sorella, 1899
[405]

Conosco troppo poco Nietzsche per poter permettermi più di questo postino. L’ho letto in gran parte; alcune cose, come il Zarathustra anche più di una volta; ho scritto una cantata combinando testi suoi e miei; sono un buon conoscitore di Thomas Mann che molto gli deve, e non solo nel Faustus; eppure non posso dire di averlo ‘capito’ – seppure il verbo ‘capire’, applicato alla complessità di una persona ha qualche senso.

“Almeno il suo pensiero, questo l’avrei capito?”

Purtroppo no, e per due ragioni. Primo, perché ho già difficoltà a capire un pensiero ben organizzato, sistematico e coerente, figuriamoci il suo, balenante, desultorio, letteralmente inafferrabile. Secondo, perché questo pensiero è inestricabilmente legato alla sua singolarità umana, estrema e incommensurabile –per dirla alla Goethe– ma per ciò stesso scostante, addirittura fastidiosa. Mentre, per altro verso, la sua egoità è misurata, il ‘superuomo’ che è in lui si colora d’infanzia, dell’impunità di un bambino che crede nel suo sogno. Che non è necessariamente un sogno ‘buono’, ma cela in sé l’altra faccia dell’umano, quella che non vorremmo vedere tradotta in realtà storica: l’idea della ‘superiorità’ di qualcuno su qualcun altro, Certo la superiorità cui pensava Nietzsche nulla aveva a che fare con quella che si attribuirà la banalità nazista o che puntualmente rinasce dall’incomprensione del diverso e dalla sovraestimazione della forza materiale.

Stando alle numerose testimonianze, anche popolari, il teorico del ‘superuomo’ era persona mite e gentile, un poco buffa con i suoi baffoni neri, decisamente tragica nelle sue contraddizioni, come le vediamo impresse nelle fotografie degli anni della follia. La sua dilaniata personalità non è peraltro quella di un superuomo, ma di un uomo fragile che, per non essere sopraffatto, attacca. La violenza della sua parola si ritorce su di sé, si contorce sotto i suoi strani colpi fino a darci l’immagine, grandiosamente pietosa, di un Ecce homo, vittima dei suoi antagonisti, Wagner e Gesù Cristo, ambedue dominanti etologicamente. Dal primo Nietzsche tentò, come poi Thomas Mann, di liberarsi –senza tuttavia riuscirci– il secondo era probabilmente cresciuto in lui fin dalla fanciullezza e non l’ha mai abbandonato. A noi restano, commoventi, le tracce delle immensi lotte.

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