lunedì 16 luglio 2012

Un messaggio dell'Imperatore

[404]

Der Kaiser –so heißt es– hat dir, dem Einzelnen, dem jämmerlichen Untertanen, dem winzig vor der kaiserlichen Sonne in die fernste Ferne geflüchteten Schatten, gerade dir hat der Kaiser von seinem Sterbebett aus eine Botschaft gesendet. Den Boten hat er beim Bett niederknien lassen und ihm die Botschaft ins Ohr geflüstert; so sehr war ihm an ihr gelegen, daß er sich sie noch ins Ohr wiedersagen ließ. Durch Kopfnicken hat er die Richtigkeit des Gesagten bestätigt. Und vor der ganzen Zuschauerschaft seines Todes –alle hindernden Wände werden niedergebrochen und auf den weit und hoch sich schwingenden Freitreppen stehen im Ring die Großen des Reichs– vor allen diesen hat er den Boten abgefertigt. Der Bote hat sich gleich auf den Weg gemacht; ein kräftiger, ein unermüdlicher Mann; einmal diesen, einmal den andern Arm vorstreckend schafft er sich Bahn durch die Menge; findet er Widerstand, zeigt er auf die Brust, wo das Zeichen der Sonne ist; er kommt auch leicht vorwärts, wie kein anderer. Aber die Menge ist so groß; ihre Wohnstätten nehmen kein Ende. Öffnete sich freies Feld, wie würde er fliegen und bald wohl hörtest du das herrliche Schlagen seiner Fäuste an deiner Tür. Aber statt dessen, wie nutzlos müht er sich ab; immer noch zwängt er sich durch die Gemächer des innersten Palastes; niemals wird er sie überwinden; und gelänge ihm dies, nichts wäre gewonnen; die Treppen hinab müßte er sich kämpfen; und gelänge ihm dies, nichts wäre gewonnen; die Höfe wären zu durchmessen; und nach den Höfen der zweite umschließende Palast; und wieder Treppen und Höfe; und wieder ein Palast; und so weiter durch Jahrtausende; und stürzte er endlich aus dem äußersten Tor –aber niemals, niemals kann es geschehen–, liegt erst die Residenzstadt vor ihm, die Mitte der Welt, hochgeschüttet voll ihres Bodensatzes. Niemand dringt hier durch und gar mit der Botschaft eines Toten. – Du aber sitzt an deinem Fenster und erträumst sie dir, wenn der Abend kommt.

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Tu che stai alla finestra e attendi che ti raggiunga il messaggio dell’Imperatore, come fai a sapere che un tale messaggio sta viaggiando verso di te, che l’Imperatore lo ha veramente affidato all’infaticabile corriere, che peraltro non arriverà mai a bussare alla tua porta e tu non lo riceverai mai quel messaggio, eppure tu sai che il siuo latore è in cammino, inutilmente: nessuno può avertelo comunicato, perché, se anche qualcuno lo avesse letto nel pensiero dell’Imperatore morente, non avrebbe neppure lui superato la soglia di quel “Nie, nie” (mai, mai).Il mondo de Kafka pur essendo in una logica ferrea, la sua logica non coincide con quella del nostro. Di cui la strana esperienza che tutto quadri mentre nullo quadra. Tutti noi, forse, viviamo in una schizofrenia del genere, ma non abbiamo modo di sincerarcene. Chi ci garantisce che la ‘realtà’ sia quale ce la mostra il Sole e non il sonno? Il dubbio non è di oggi, anzi l’umanità di ieri quanto e più di noi, anche se le realtà virtuali di cui disponiamo non di rado ci ingannano non meno dei sogni.
Perché?, i sogni, naturali o artificiali che siano, ci ingannano?
Il nostro cervello, eccitato per esempio da una droga, ci inganna? Ci lo siamo sempre domandato, dandoci risposte sempre diverse, la più recente delle quali, quella che abbiamo accreditato come ‘razionale’ (e le altre, chi le aveva prodotte?), è risultata vincente. Ma perché avrebbe vinto una sola e non due, tre, infinite?
Perfino la più ‘razionale’ delle discipline, la matematica, sta da qualche tempo sviluppando i rami dell’irrazionalità suggerendo anche alla fisica razionalizzata di Newton modelli di realtà multipli e probabilistici. La stessa ‘razionalità’, cara al Settecento, non è più la stessa di allora e si arricchisce e nutre del suo opposto, al punto di pretendere il controllo tanto quanto l’irrazionale lo rivendica per sé.
Ma che vuol dire che l’irrazionale ‘controlla’ se stesso e magari anche il razionale? Il ‘controllo’ non è sempre razionale?
Evidentemente sono possibili vari livelli di controllo, da esercitarsi con strumenti di varia provenienza. Così gli strumenti con i quali valutiamo la ‘giustezza’ di un’espressione poetica, di un brano musicale, di un’opera pittorica o architettonica, non sono di natura numerica né si esauriscono in reglo grammaticali e sintattiche. E neppure sono di natura logca, anche se la logica, como il numero e la matematica, vi hanno parte. Non so, a questo punto, se attribuire questa elasticità di comportamento all’uso che noi facciamo degli strumenti analitico-compositivi o a questi stessi. In altre parole, l’imprecisione che tanto arricchisce il nostro giudizio percettivo, analitico, valutativo – è in noi che giudichiamo. O è già negli strumenti che abbiamo inventato per giudicare?

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