domenica 15 luglio 2012

La libertà


[403]
»Nun ja, die Freiheit, wissen Sie, die Freiheit…!« wiederholte er, indem er eine vage, ein wenig linkische, aber begeisterte Armbewegung hinaus, hinunter, über die See hin vollführte, und zwar nicht nach jener Seite, wo die mecklenburgische Küste die Bucht beschränkte, sondern dorthin, wo das Meer offen war, wo es sich in immer schmaler werdenden grünen, blauen, gelben und grauen Streifen leicht gekräuselt, großartig und unabsehbar dem verwischten Horizont entgegendehnte…

„Eh già, la libertà, lei capisce, la libertà…!“, si ripeté con un vago, timido ma entusiastico movimento del braccio in fuori, in basso, in direzione del mare, ma non dalla parte dove l’insenatura era limitata dalla costa del Mecklenburgo, bensì dalla parte del mare aperto, dove questo si estendeva, appena increspato da sempre più sottili strisce verdi, blù, gialle e grigie, grandiosamente e a perdita d’occhio verso l’indistinto orizzonte.

“Ecco uno che sa scrivere…”
“Direi piuttosto uno che sa pensare…”
“Hai ragione. È forse la più bella definizione di ‘libertà’ che io conosca!”
“Non so se sia la più bella. So solo che è più da sessanta anni che mi dà da pensare…”.

La citazione è dai Buddenbrooks, di Thomas Mann. L’Autore era a quel tempo politicamente –si sarebbe poi detto– un reazionario, ma questa sua definizione del concetto di ‘libertà’ mi è sempre sembrata la più libera, meno ideologizzata, meno reazionaria tra tutte quelle in cui mi è capitato di imbattermi. Proprio perché non è una definizione, non segna dei confini, anzi, sconfina nell’indistinto, come lo sguardo in cerca di un orizzonte sul mar Baltico (l’episodio è ambientato a Travemünde, vicino a Lubecca, appunto sul mar Baltico).

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Personalmente, sono infastidito dall’abuso che in genere si fa della parola e dal concetto di ‘libertà’. Dubito ormai che sia possibile attribuire all’usurata parola un concetto spendibili fuori dall’oratoria tribunizia. È più che evidente che ‘libertà’, se non se ne definiscono il contesto e i limiti, è un termine privo di significato, come lo è forse qualsiasi altro. Con la differenza che, quando diciamo ‘sedia’, o il suo ‘significato’ è inequivocabilmente riferito a un oggetto presente nel contesto, o non richiede questa specificazione, mentre quando diciamo ‘libertà’, il più delle volte neppure ci chiediamo quale sia il significato, sicuri, ‘ideologicamente’ sicuri che da qualche parte ci deve pure esseri, visto l’uso frequente della parola e, spesso, l’autorità di chi la pronuncia.
Nel passo citato, invece, la parola viene detta, ripetuta, come per essere commentata, ma ciò che segue è il lento trascorrere del gesto e dello sguardo verso un orizzonte inafferrabile… L’insistenza con cui il periodo manniano tenta di circoscrivere questa inafferrabilità, senza riuscirci, ce ne dà la migliore interpretazione: ‘libertà’ non è un concetto, ma solo un vago simulacro di concetto, destinato a perdersi come l’onda che si rifrange sugli scogli.
Lettura vanamente estetizzante di una parola densa di riferimenti politici oppure lettura finalmente realistica –anche se letterariamente espressa– di una parola che proprio l’abuso politico ha deliberatamente svuotato di ogni significato?
Propendo per la seconda interpretazione, suggeritami del resto dall’insieme dell’opera di Mann, profondamente problematica e pedagogica, indisponibile verso chi chiede risposte, apertissima verso chi crede di essere aiutato a pensare ‘oltre’ l’incerto orizzonte della ‘certezza’.

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