mercoledì 18 luglio 2012

Il problema dei problemi: il tempo


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E così è restato fino ai giorni nostri, nonostante le molte menti, illustri e oscure che si sono affannate dietro lo sfuggente concetto. Sfuggente sia alla comprensione che nell’oggetto significato.
Ma il tempo può dirsi un ‘oggetto’, come una sedia, un albero? Pochi saranno di questa opinione, i più lo considereranno una sorta di ‘contenitore’ di oggetti. Alberi e sedie sussistono nel tempo (e nello spazio), ma tempo (e spazio) sussistono solo in se stessi – per coloro che credono nella loro sussistenza. Ben trovata la definizione kantiana dei due come ‘a priori’ della conoscenza, cioè: possiamo conoscere gli oggetti solo se abbiamo per essi degli appropriati contenitori fisici, appunto spazio e tempo. Ma la ‘fisicità’ di questi contenitori è reale o mentale? E il problema si riapre sul versante psicologico: il ‘mentale’ corrisponde a un determinato stato fisico dell’organo pensante, il cervello? e così via.
La dualità corpo-mente, ulteriormente banalizzata in anima e corpo, ammette una riduzione monistica? E che vantaggio ne ricaveremmo? La rinuncia al due, e per esso alla pluralità tout-court, non ci sterilizzerebbe alla condizione del uno-tutto parmenideo?
Ma torniamo al problema del tempo, vigorosamente trattato nell’antichità, poi, ancora ai primordi della cristianità, da Agostino, vescovo di Ippona:
“Dunque, Dio mio, io misuro il tempo e non so cosa misuro (…) Ne ho tratto l’opinione che il tempo non sia che un’estensione. Di che? Lo ignoro. Però sarebbe sorprendente se non fosse un’estensione dello spirito stesso.” (Confessioni, traduzione C. Carena)
Agostino sembra qui presentire l’interpretazione di Kant. Ambedue tentano di sottrarre il tempo al mondo fisico e di fare una sorta di emanazione (“estensione”) dello spirito, una precondizione dell’atto percettivo. Kant avrà in questo idea più chiara di Agostino, il che è del resto è ben comprensibile dopo gli empiristi inglesi e Hume in particolare.
E come stiamo messi oggi, nei confronti del grande tema?
Le mie scarse conoscenze non mi permettono più che qualche piratesca incursione in questo campo. Osservo per esempio che la trattazione dello spazio e del tempo dall’ambito filosofico si è trasferita a quello scientifico con un’operazione in un certo senso inversa a quella appena ricordata per Agostino e Kant. È impensabile, oggi, parlare separatamente di spazio e tempo, cioè senza tener conto della loro unificazione nello ‘spazio-tempo’ della teoria einsteiniana della relatività. A dire il vero, già la fisica di Newton connette questi concetti entro formule unificanti, che però li trattano ancora come ‘parametri’ indipendenti. Nella relatività galileiana la loro indipendenza è implicitamente  sospesa, senza tuttavia che Galileo lo dichiari apertamente, forse per non rendere ancora più difficili i suoi rapporti con il Vaticano.
Una domanda che mi faccio spesso, al di là –o meglio ben al di qua– delle ipotesi relativistiche è se sia sensato matematizzare il tempo, dotandolo di un’unità di misura universale, quando la nostra percezione di esso è a tal punto variabile da non trovarsi due occasioni esperienziali che ne registrino l’uniformità. Mentre l’iterabilità di una misura spaziale rende plausibile la sua oggettività, lo stesso non accade per una misurazione temporale, irripetibile per principio. Si potrebbe replicare che anche per lo spazio due misurazioni di uno stesso oggetto non sranno mai identiche a causa dei microcambiamenti necessariamente avvenuti tra l’una e l’altra. Ma di questi cambiamenti è responsabile appunto il tempo, non lo spazio.
Non discuto ovviamente l’utilità pratica di questa ma tematizzazione; per parte mia, entro in crisi già mi si scarica la batteria dell’orologio da polso. Ma non vorrei neppure basare sulla ‘pratica’ un’ontologia che credo il tempo non meriti e di cui forse non ha neppure bisogno.

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