[Dialogante 1] Vedo che stiamo convergendo sull’ineluttabilità
della globalizzazione…
[Dialogante 2] … come conseguenza della globalizzazione
delle esigenze. Se avessimo ciascuno esigenze diverse…
[Dialogante 1] … non ci sarebbe mercato, non ci sarebbe
concorrenza ne monopolio…
[Dialogante 2] Ci sarebbe l’uniformità della diversità, …
[Dialogante 1] …e non so cosa preferire, se il troppo uguale
o il troppo diverso.
[Dialogante 2] Appunto credo nella necessità di un
preventivo momento di studio che consideri:
A) La possibilità
di divaricare le esigenze.
B) La pluralità di
risposte a ciascuno di esse.
C) La possibilità
di accorpare entro progetti comuni risposte diverse.
[Dialogante 1] Le difficoltà maggiori penso stiano in C…
[Dialogante 2] … per cui esistono però modelli già
collaudati: i supermercati o le industrie i cui prodotti, pur diversissimi, si
basano su un unica materi prima (legno, ferro…) o su unico modo d’uso (prodotti
alimentari, abbigliamento…).
[Dialogante 1] Non vedo chiaramente la differenza con ciò
che sta già accadendo.
[Dialogante 2] Le differenze stanno soprattutto in A e B.
Così, per divaricare le esigenze bisognerebbe divaricare le offerte.
[Dialogante 1] Ma queste sono fin troppo diversificate:
siamo sommersi da annunci pubblicitari di prodotti polivalenti, sgrassanti,
conservanti, lucidanti, ammorbidenti…
[Dialogante 2] Per questo ho detto ‘divaricare’, non ‘differenziare’.
Si tratta di spostare l’attenzione di un possibile acquirente verso nuovi
ambiti di spesa che stimolino anche nuovi interessi. Penso in particolare ai
bambini, oggi avviati verso un’uniformità di scelta che spaventa. Non si tratta
di tifare per una squadra o un’altra, per una marca di jeans o l’altra. La scelta è la stessa: per l’omologazione
consumistica.
[Dialogante 1] Mi sembra che l’inversione di rotta spetti ai
sistemi formativi, in primis alla
scuola…
[Dialogante 2] … che però è strettamente legata al potere
politico, che è il primo responsabile del nostro stallo culturale.
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