[Dialogante 1] Anziché spendere tutte le sue energie nell’alimentare
sistematicamente la cultura globalizzante, quella che aspira a fare di ogni
città una New York, farebbe molto meglio a studiare dei modelli che
interpretino diversamente il concetto di globalità…
[Dialogante 2] … per esempio come ‘globalità del diverso’.
[Dialogante 1] Che intendi con questo?
[Dialogante 2] Che ogni UCL – diciamo ogni città – dovrebbe
aspirare a non essere una New York e neppure una delle altre città presenti sul
nostro pianeta.
[Dialogante 1] Una visione molto utopica ed astratta,
impossibile al giorno d’oggi.
[Dialogante 2] Perché impossibile?
[Dialogante 1] Perché le esigenze di reciproca compatibilità
produttiva, consumistica e comunicativa, richiedono strutture simili e analoghi
modelli di crescita.
[Dialogante 2] Ma proprio su questa esigenza di compatibilità
occorrerebbe intervenire…
[Dialogante 1] Con il rischio che tutto il sistema di
interazioni su cui si basa la nostra economia si blocchi e si torni a sterili
forme di autarchia.
[Dialogante 2] Ciò che si perde sul piano economico si
potrebbe guadagnare su altri.
[Dialogante 1] Quali?
[Dialogante 2] Su quello della ricchezza inventiva per
esempio. L’attuale trend
globalizzante tende a uniformare le strutture di fondo e a riservare ai
dettagli di superficie la variabilità di cui al momento ha bisogno.
[Dialogante 1] Tu stesso ammetti che ampio spazio resta alla
variabilità. Considera l’automobile, che ha rimodellato uniformemente le città
moderne…
[Dialogante 2] … consentendo però un’enorme varietà di
modelli automobilistici…
[Dialogante 1] … tutti peraltro voraci di benzina, perché
costruiti sull’unico tipo ‘alimentazione a derivati del petrolio’. Solo oggi
che si intravede l’esaurimento delle fonti e che di conseguenza cresce la
speculazione sul petrolio, solo oggi si comincia seriamente a pensare a fonti
alternative, …
[Dialogante 2] …e il primo che ne individuerà una duratura,
a basso costo e relativamente sicura, ci globalizzerà nuovamente intorno a sé.
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