[Dialogante 1] Gli uomini sentono da sempre un prepotente
bisogno di affermarsi e, poiché si sono presto accorti che le prestazioni
fisiche non sono sufficienti, hanno culturalmente favorito lo sviluppo della
mente, nella convinzione che è il cervello e non qualche altra parte del corpo a
soddisfare questo loro bisogno.
[Dialogante 2] Se ho ben capito, stai riconducendo l’enorme
sviluppo della mente nella specie umana al normale processo evolutivo secondo
il modello darwiniano.
[Dialogante 1] Precisamente. Avremmo così una
supervalutazione innestata su quella del corpo: l’evoluzione della mente,
espressa nella ‘cultura’.
[Dialogante 2] Tutto bene, anche se difficile da dimostrare.
Ma come si sarebbe sviluppato nell’uomo questo ‘prepotente bisogno’ di
autoaffermazione?
[Dialogante 1] Per ipertelia,
a partire dall’istinto di sopravvivenza comune a tutto il vivente, al punto di
potersi identificare con esso.
[Dialogante 2] Il tiro oltre il bersaglio, una
manifestazione della casualità, cioè
di uno degli ingredienti fondamentali del modello evolutivo di Darwin. Cioè l’ipertelia avrebbe costruito sul normale
istinto di sopravvivenza un ulteriore bisogno di affermazione a scapito di
altri, un desiderio di prevaricazione che a sua volta avrebbe incentivato lo
sviluppo del cervello con una sorta di feedback
positivo. L’ambiente avrebbe poi fortunatamente agito da freno evitando fin ora
l’esito catastrofico innestato da questo tipo di feedback. Ma fino a quando l’ambiente riuscirà a proteggerci?
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[Dialogante 1] Ma torniamo a noi. Il bisogno di
autoaffermazione, una volta innescato, si sarebbe riproposto (uso il condizionale
a sottolineare il carattere ipotetico di questa ricostruzione) a vari livelli
organizzativi, da quello della persona a quello del clan, della tribù, della nazione.
[Dialogante 2] Con l’ingrandirsi dei livelli si sono
manifestati altri criteri distintivi, ciascuno in grado di assemblare altri
gruppi di individui, tutti sottoposti alla medesima pressione selettiva fondata
sulla prevaricazione, non più del singolo o del piccolo clan ma di intere
nazioni, razze, religioni. Si è così sviluppata una società umana violenta,
concorrenziale, fatta di padroni e servi, vinti e vincitori, una società di
simili ma diseguali, nella quale pochi comandano e molti ubbidiscono in cuor
loro pensando di passare quanto prima dalla parte di coloro che comandano.
[Dialogante 1] Dal canto suo la mente non ha fatto altro che
mettersi al servizio di questo ‘sviluppo’, provvedendolo di modelli, teorie,
filosofie atti a sostenerlo, fino a farlo diventare il centro propulsivo della
nostra specie…
[Dialogante 2] … ma al tempo stesso la trappola mortale che
difficilmente le riuscirà di evitare se continuerà a fidarsi di quel centro.
[Dialogante 1] Abbandonarlo così per una navigazione a vista
nell’infinito mare dell’essere non è cosa consigliabile finché un’opportuna
mutazione mentale non si abbia rieducato ad una realtà alquanto diversa…,
[Dialogante 2] … o meglio alla nostra stessa realtà, vista
però con occhi diversi. Non è il mondo che va cambiato, come da millenni stiamo
tentando di fare, ma la nostra mente…
[Dialogante 1] … che ce lo mostra e ci mostra anche entro
che limiti possiamo cambiarlo.
[Dialogante 2] E tu credi che questi limiti li abbiamo
superati?
[Dialogante 1] Sì e non di poco, come il mondo stesso ci
dice con la sparizione delle specie animali, i cambiamenti climatici e tutti
quei fenomeni di cui si parla da tempo e insistentemente.
[Dialogante 2] Ma, se sappiamo di averli superati, quei
limiti e per giunta ci vantiamo della nostra ‘superiorità’, come può essere che
accettiamo senza intervenire la stupidità dei nostri comportamenti volti
unicamente allo ‘sviluppo’ economico e del welfare?
[Dialogante 1] Semplice: perché la cultura ‘globalizzata’
secondo quel modello ci ha reso ciechi e sordi nei confronti di altri modelli
ma soprattutto ci sta impedendo la ricerca o la costruzione di nuovi.
[Dialogante 2] Tanto peggio per i ‘noi’ di domani.
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