mercoledì 3 novembre 2010

SÌ al rispetto della finitezza


SÌ al rispetto della finitezza
È una considerazione su cui mi capita spesso di ritornare, così anche in questa serie di postini a proposito dell’avere (vedi n° 8). Ritengo la finitezza qualità essenziale di tutto ciò che possiamo esperire, a cominciare da noi stessi; è quindi ‘naturale’ il rispetto per essa. Rispetto a cui troppo spesso veniamo meno, sia nella speculazione filosofico-religiosa sia nella progettazione pratica. Un chiaro esempio ce lo offrono, a parte le religioni, le fedi nel progresso e nella crescita infinita dell’economia, fedi tutte –religione in testa– che, se non sapremo relativizzarle, apriranno le porte a una fine prematura. Questo ha di buono, infatti, la finitezza, che pure essendo connaturata a ogni nostra esperienza, non ne stabilisce la fine, permettendosi addirittura di sognare il suo contrario, l’infinito, e magari anche di costruire su di esso un’immagine utopica di realtà. Non penso che tale immagine vada distrutta, ma neppure che la si debba caricare di una concretezza per lei insopportabile. La rozzezza di un realismo applicato all’utopia sta affrettando la nostra finitezza, che quindi si trova aggredita da due parti: dalla stoltezza delle fedi e dalla nostra incapacità a mantenere distinto lo statuto di utopia da quello di realtà.

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