sabato 27 novembre 2010

Ancora il Doktor Faustus

Gustav Mahler, fotografiado en la playa del Zuiderzee, cerca de Valkeveen, en los Países Bajos (marzo 1906)

Come ben sapete, Boris sente una enorme ammirazione per Thomas Mann e specialmente per il Doktor Faustus, al quale già dedicasse quasi sessanta anni fa la sua tesi di laurea (a proposito, qualcuno l'ha vista? diremo -non senza rubore- che è andata persa degli archivi Porena ormai un po' di anni fa).

Questo interesse poreniano continua a stimolare ricerche e studi. Il più recente, un articolo di Dario Peluso su
Testo e Senso, Il romanzo della musica: Arnold Schönberg e Gustav Mahler nel Doctor Faustus di Thomas Mann. Siccome Dario ha lavorato anche con Boris durante la sua ricerca, abbiamo pensato di lasciargli la parola, affinché lui stesso vi racconti come è andata la vicenda.

Su invito di Fernando proverò a raccontare come l'incontro con Boris abbia fortemente condizionato il mio modo di leggere l'opera di Thomas Mann e di ascoltare la musica di Gustav Mahler: rinuncio fin da subito ad essere sintetico, l'argomento merita un saggio a sé, quindi siate tolleranti per favore! Leggere di più ...
«“Il romanzo della musica”: Arnold Schönberg e Gustav Mahler nel Doctor Faustus di Thomas Mann» è un saggio uscito sulla rivista online Testoesenso.it nei primi di settembre, e a cui ho iniziato a lavorare qualche mese fa, nel periodo in cui frequentavo il corso di «Metodologia e storia della critica letteraria» tenuto dal prof. Raul Mordenti con la collaborazione della prof.ssa Elisabetta Orsini, persone affabili e decisamente molto pazienti, che mi hanno sostenuto durante tutto il periodo della stesura. È stata proprio la prof.ssa Orsini a passarmi «Musica e morale nell'opera di Thomas Mann», un saggio del 1958 in cui Boris affronta alcune questioni cruciali del Doktor Faustus in modo estremamente originale. Nelle linee generali lo scritto accetta la lettura, assai diffusa in quegli anni, secondo cui la vicenda di Adrian Leverkühn, il protagonista del romanzo, sarebbe paradigmatica del declino della Germania verso il nazismo e la barbarie, e rappresenterebbe il rifiuto delle avanguardie schönberghiane da parte di Thomas Mann; anche se la ritengo una lettura parzialmente inesatta, ciò non toglie nulla alla bontà delle singole intuizioni di Boris.

Innanzitutto, egli coglie (anticipando di almeno dieci anni l'importantissimo saggio Asor Rosa, Thomas Mann o dell'ambiguità borghese) l'attitudine manniana a rappresentare l'ambiguità della borghesia tedesca, riferimento morale dell'Ottocento europeo eppure allo stesso tempo assediata dall'incombente barbarie nazista: perciò, secondo Boris, l'incontro di Mann con la musica (romantica, aggiungo io), arte tedesca per eccellenza, è stato

«l'incontro di un grande moralista con l'arte che egli considerava più ambigua o, più semplicemente, con l'arte che egli considerava più morale. Giacchè morale è per Thomas Mann tutt'altro che virtù, non si identifica cioè con i valori moralmente positivi, ma comprende in sé ogni momento anche i loro contrari, vive anzi proprio di questa intima antitesi, i cui termini si confondono talora, ma non si fondono mai in quella sintesi che sarà riservata solamente al concetto di umanità, trascendente la stessa morale».

E ancora:
«Non è forse il Faustus un monumento, una celebrazione senza precedenti della problematicità tedesca, quand'anche sotto forma di accusa, anzi, proprio grazie a questa forma, anche un riconoscimento della natura profondamente morale (morale non è virtù) di questa civiltà?».

Con la Prima Guerra Mondiale il borghese -che per Mann rappresenta più di una categoria: la borghesia tedesca di fine Ottocento è lo spirito tedesco– ha varcato un confine invisibile, oltre il quale l'ambiguità inesorabilmente cristallizza, sterile, nell'ideologia.
Boris scrive dell'ultima opera di Leverkühn, la Lamentatio Doctoris Fausti:

«Sarà il lamento di un uomo che ha finalmente realizzato il “Durchbruch” [generalmente tradotto con «irruzione»], ma il “Durchbruch” verso la negazione, verso la morte, e fissa ora lo sguardo disperato nell'eterno nulla».

Eppure, riconosce un bagliore di speranza nel conclusivo sol dei violoncelli, nella Lamentatio, che apre a un «mondo di temerario sentimento nuovo». Ora, come avevo scoperto tempo prima, leggendo il Mahler di Adorno, questo sol è programmaticamente estratto da Mann dal finale della Settima di Mahler, e non è difficile notare una certa affinità tra l'ambiguità della musica mahleriana e l'atteggiamento manniano – lo stesso Thomas Mann espresse la sua ammirazione per l'arte del compositore viennese: quando andai a trovarlo a Cantalupo, Boris ammise sinceramente di non aver mai riflettuto su questa vicinanza spirituale tra Mann e Mahler di cui gli parlavo, inoltre era passato molto tempo e la tesi di laurea era andata perduta (per due volte..!), ma fu d'accordo con me nel constatarla e si rammaricò di non aver conosciuto la musica di Mahler al tempo in cui scriveva la tesi su Thomas Mann. Fu un grande incoraggiamento, che mi spronò a continuare su quella strada, e ritengo tuttora il saggio un lavoro efficace.

Un'ultima annotazione: oltre all'osservazione sull'ambiguità borghese, che non so se fosse originale o di seconda mano, un altro passo del saggio di Boris –forse anch'esso di seconda mano? - è confluito nel testo di Alberto Asor Rosa.

Scrive Boris:
«La musica di Adrian nascerà dal faustiano patto con il diavolo. Ma il diavolo non è il signore della critica, per quanto dimostri di saperla esercitare assai bene, forse anche meglio di Mefistofele; egli è il signore dell'entusiasmo, dell'ebbrezza, della rinnovata barbarie» (p. 51).

Scrive invece Alberto Asor Rosa:
«L'elemento demoniaco dell'arte moderna non consiste a suo avviso [di Thomas Mann] in un'accentuata predisposizione alla critica. La critica, per quanto corrosiva, è un prodotto dell'intelligenza umana e quindi un elemento solare, che porta con sé luce. Il Diavolo al contrario, dà quel sovrappiù di calore nell'ispirazione, ­ “la trionfante superiorità, la brillante mancanza di scrupoli”, senza il quale l'arte moderna non potrebbe mai trovare il coraggio d'uscire dalla sua nicchia silenziosa e di arrivare fino al punto di generare» (p. 151).

Dario Peluso, Novembre 2010

1 commento:

flaminia ha detto...

Ma certo! l'ambigua affinità da fin de siècle tra Mann e Mahler che Visconti ha colto e riprodotto in maniera straordinaria in Morte A Venezia ('71)!

Visconti ha traslato ed esplicitato il collegamento cui accennate nel racconto. Traducendo nel nuovo linguaggio l'immagine del protagonista artista (nel racconto uno scrittore, nel film un compositore), ha sintetizzato la figura di Gustav (Mahler) von Aschenbach.

Nel film viengono utilizzati per la colonna sonora l'Adagietto della V sinfonia e il quarto movimento della III sinfonia. Così la suggestione decadente delle figure che hanno ispirato il protagonista diventa tutt'uno con l'ambientazione (Venezia) e le peculiarità estetiche del linguaggio cinematografico di Luchino Visconti.

Una curiosità: non mi ricordo se nel racconto viene mai specificato l'anno in cui la vicenda ha luogo, ma il film è ufficialmente ambientato nel 1911, anno di morte di Mahler.

Un caro saluto,