[Nella sestina precedente, anzi in
tutto questo libro – che, vorrei ricordare, non è ovviamente quello che non
scriverò mai – mi sono servito, a tratti, non sistematicamente, della metafora
ferroviaria, a essere precisi della ‘rete’ ferroviaria per rendere l’immagine
della totalità comunicazionale in cui siamo immersi.
Perché questa immagina, non certo
attualissima, e non l’altra, più a portata di mano, di rete telematica o
televisiva?]
È assai probabile che qui sia in gioco
la mia età e la mia infantile passione per i treni. Le ‘reti’ tradizionali,
come qui quella ferroviaria, ma anche una rete autostradale o semplicemente
viaria, hanno la caratteristica di essere fisse, inamovibili, mentre quelle che
oggi penetrano nelle case e ci raggiungono ovunque noi siamo non sono solo
mobili, ma si può dire che non esistono – o meglio i singoli percorsi non
esistono – se non potenzialmente fin quando non le attualizziamo con
particolari connessioni.
Non chiedetemi vuol dire quel “attualizzare
con particolari connessioni”. Non solo, come non lo sa un qualsiasi bambino che
preme i tasti della televisione e non si meraviglia neppure che sullo schermo
gli appaiano gli orsi dell’Alaska (che chissà dov’è) o i leoni sub sahariani
(credo si trovino tutti allo zoo vicino casa). Le faccende delle onde elettromagnetiche
ce l’hanno spiegate pure a scuola con tanto di formule. Le formule le abbiamo
dimenticate e la cosa in sé continuiamo a non capirla.
O forse l’immagine della rete – ferroviaria
o telematica – rispecchia la rete neuronica del nostro cervello, che
utilizziamo fin dalla nascita, senza avere la minima idea di che cosa vi
succeda quando pensiamo per esempio a un barattolo di marmellata: lo vediamo
cogli occhi, sentiamo il sapore della marmellata, ne annusiamo l’odore,
gustiamo il sapore, riflettiamo su quanto costa? E, anche se percepiamo tutte
queste cose assieme, come fa il cervello, questa inerte massa gelatinosa a
trasmetterci tutte queste informazioni? Trasmetterle a chi? A me, che quindi
siamo tutt’altro del nostro cervello. E io che credevo di essere tutt’uno col
mio cervello!
Certo gli scienziati ne sapranno molte
di più, sul mondo, su noi stessi. Ne sapranno abbastanza per dire: ho capito!]
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