[Dialogante 1] Qualcuno
potrebbe chiederci: perché la forma aforistica, trionfante nei Postini
e qui stancamente ripresa?
[Dialogante 2] Sappiamo
benissimo questo, perché non facciamo alcun tentativo di nasconderlo: perché le
forme brevi si dominano più facilmente di quelle lunghe. A scrivere un pario di
frasi non del tutto idiote ci riusciamo tutti.
[Dialogante 1] Già, ma qui
le frasi con questa pretesa sono varie centinaia.
[Dialogante 2] Di cui
quelle ‘riuscite’ sono solo una piccola frazione.
[Dialogante 1] A gettar via
le altre ci penserà la selezione culturale.
[Dialogante 2] Pensi che
qualcuno si prenderà cura di separare il grano dal loglio? Oltretutto senza la
certezza di trovarne.
[Dialogante 1] Gli umani
sono sempre in cerca dell’eccezione. La normalità la vivono giorno per giorno
in attesa che quella si manifesti. Cosa più probabile in una sequenza di
considerazioni sconnesse che nella coerente sequenza di un romanzo di
settecento pagine.
[Dialogante 2] Esistono
anche romanzi sconnessi, desultori.
[Dialogante 1] Nessuno ti
impedisce di leggere anche i Postini e queste note come un
romanzo particolarmente sconnesso la cui ‘unità’ tocca a te costruirla,
sempreché tu ne abbia voglia.
[Dialogante 2] Mi sembra
che cerchi di giustificare la nostra propensione per la brevità.
[Dialogante 1] Non lo
escludo, ma non credo ne abbiamo bisogno: tutt’al più non ci leggeranno.
[Dialogante 2] Il che
andrebbe benissimo se scrivessimo romanzi. Molto meno per gente come noi,
illusa di cambiare il mondo a forza di Postini e metafore ferroviarie.
[Dialogante 1] So
perfettamente che per cambiare il mondo ci vuole ben altro…
[Dialogante 2] … chi ti
assicura inoltre che il mondo, cambiato come vorremmo noi, sarebbe più disposto
a farci sopravvivere.
[Dialogante 1] Non ce lo
assicura nessuno, certo. Non ci resta che una duplice speranza: che ci sia così
e che qualcuno ci dia retta.
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