giovedì 26 giugno 2014

Tratta XV.1 – La storia l'ha rifiutata…



[Dialogante 2]  Abbiamo sinora parlato di tratte costruite verso il passato. Ci sono o sono immaginabili anche ponti verso il futuro?
[Dialogante 1]  Sono certo immaginabili. Che lo diventino realmente non saprei dire.
[Dialogante 2]  Se consideriamo la parola ‘futuro’ in relazione a un punto del tempo sufficientemente passato…
[Dialogante 1]  Alt! Comincio già a non capire. Che vuol dire ‘sufficientemente passato’? O è passato o non lo è.
[Dialogante 2]  Scusami, ma intendevo dire il passato da un tempo tale che anche il suo futuro, nella misura che qui ci interessa, appartenga anche al nostro passato!
[Dialogante 1]  Questo si chiama parlare chiaro! Comunque ho capito.
[Dialogante 2]  È del tutto normale che certi fatti del passato siano stati preceduti da altri che li hanno resi possibili, e sono questi ultimi che chiamerei ‘ponti’ gettati sul futuro.
[Dialogante 1]  Puoi farmi un esempio o preferisci che te lo faccia io?
[Dialogante 2]  … Democrito, che con la sua visione atomica del reale in particolare con l’ipotesi del dinamou sembra gettare un ponte verso il pensiero scientifico odierno.
[Dialogante 1]  O Beethoven che nelle sue ultime opere sembra precorrere la dissoluzione delle forme classiche e nella Grande Fuga perfino della sintassi e grammatica tonale, quale si verificherà un secolo dopo.
[Dialogante 2]  Ma perché ci sentiamo ambedue in dovere di attutire le nostre affermazioni con quel ‘sembra’, mentre il ‘ponte’ è lì, davanti ai nostri occhi, inequivocabile?
[Dialogante 1]  Sulla sua inequivocabilità ci sarebbe da ridire. Anzitutto che i contemporanei di allora, non conoscendo il futuro, non avrebbero certo parlato di ‘ponte’, semmai di follia, di blasfemia; solo più tardi, a trasformazioni avvenute, si sarebbe potuto parlare di anticipazioni, preveggenza.
[Dialogante 2]  Però, in qualche caso almeno, il futuro è esplicitamente previsto e teorizzato, a cominciare da Wagner[1], poi da innumerevoli ‘Manifesti’, politici e artistici degli ultimi due secoli.
[Dialogante 1]  Che a questi ‘Manifesti’ siano seguite effettivamente delle realizzazioni non è dovuto a un loro potere premonitore, ma alla realtà di chi è venuto dopo. È come se i ‘ponti’ siano stati costruiti dopo esserci passati su.
[Dialogante 2]  Infatti gli autori di quei manifesti vi hanno profuso certo molto più fantasia che preveggenza.
[Dialogante 1]  In più di un caso tuttavia –si veda per tutti il Manifesto del Partito Comunista– i loro contenuti futuribili attendono ancora una scelta adeguata…
[Dialogante 2]  … e si potrà parlare di ‘ponte’ solo se una scelta del genere si verificherà, altrimenti il ‘ponte’ resterà immaginario, tutt’al più fideistico, come i messaggi delle religioni.
[Dialogante 1]  Ma mi hanno detto che il Manifesto sunnominato una sua realizzazione ce l’ha avuta, solo che la storia l’ha rifiutata.
[Dialogante 2]  Ancora due mitizzazioni gratuite: da un lato l’identificazione dell’Unione Sovietica con l’utopia marxista, dall’altro la divinizzazione della Storia come reggitrice delle sorti umane.
[Dialogante 1]  Solo il futuro si potrà dire se il “Manifesto” è o non è stato un ‘ponte’ verso un nuovo modo di convivenza umana o un tentativo fallito…
[Dialogante 2]  … perché fallimentare in partenza o perché divenuto tale in corso d’opera.
[Dialogante 1]  Fino allora qualcuno resterà ancora in attesa.
[Dialogante 2]  Credi?
[Dialogante 1]  Credo.



[1]             Das Kunstwerk der Zukunft (L’opera d’arte del futuro), Richard Wagner (1849-1852).

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