domenica 15 giugno 2014

Tratta XIII.6 – Zòon politikòn






[Dialogante 2]   Hai appena detto che una qualche forma di cultura ce l’hanno anche gli animali. Tutti?
[Dialogante 1]   Sì, tutti contro non vedo perché dovrei concederla all’elefante e negarla alla formica. Se per 'cultura’ intendiamo un modello interpretativo del mondo, credo che debbano avercelo tutti, solo per poter vivere.
[Dialogante 2]   Sarebbe un’inutile forzatura sostenere che la vita non è altro che un modello interpretativo del mondo?
[Dialogante 1]   Se servisse a equiparare i vari modelli, ne vedrai l’utilità ‘politica’.
[Dialogante 2]   In omaggio allo Zòon politikòn di cui parla Aristotele[1].
[Dialogante 1]   Sì, solo che tradurrei il suo politikòn piuttosto come ‘sociale’, visto il cattivo uso che si fa oggi del termine politico (=appartenente alla ‘polis’, cioè alla forma sociale per eccellenza nel mondo greco).
[Dialogante 2]   Nella comunicazione umana i termini –le parole– servono talora a restringere i concetti (quando appaiono troppo generici), talaltra ad allargarli (con il pericolo di renderli indistinti).
[Dialogante 1]   Oppure sono propri concetti a essere generici e indistinti e noi ne diamo la colpa alle parole.
[Dialogante 2]   Il fatto è che le parole sono chiaramente riconoscibili dalle lettere che le compongono, mentre i concetti sono come parole biascicate da un vecchio sdentato.
[Dialogante 1]   Vedo che li tieni in scarsa considerazione.
[Dialogante 2]   Non si sono espressi in un linguaggio più affidabile di quello verbale.
[Dialogante 1]   Per esempio?
[Dialogante 2]   Quello matematico o quello logico-formale.
[Dialogante 1]   Se permetti aggiungere la musica…
[Dialogante 2]   … che tutto è meno che concettualmente affidabile!
[Dialogante 1]   Vero! Ma, poiché ritengo inaffidabile il concetto, non mi resta che sperare di meglio da qualcosa di concettualmente inaffidabile.



[1]             Aristotele definisce difatti la natura dell’uomo come essenzialmente, inevitabilmente politica. Se la vita dell’uomo non fosse solidale con gli altri esseri umani, sosteneva Aristotele, l'uomo stesso si troverebbe a essere o una belva, fuori dal consorzio umano, o un dio che nella sua onnipotenza non ha bisogno degli altri.

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