sabato 10 novembre 2012

Un’entità sovra-individuale?


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Parlare di ‘maturità’ dei giovani di oggi è nient’altro che ipocrisia, almeno se a parlare sono io che di generazioni ne ho viste parecchie. Non credo affatto in generale, a questa ‘maturità’, più di quanto ci abbia creduto in passato. Singolarmente posso dire di aver incontrato solo teste pensanti, cui tuttavia la società raramente chiedeva di farlo. Ricordo ancora gli anni del fascismo dove chi pensava era considerato un disfattista perché uno solo pensava per tutti, e anche in seguito, con l’avvento della democrazia, i delegati a pensare erano in pochi e consumavano questa loro nobile facoltà negando a priori ciascuno quel che affermava l’altro e accettando perfino l’autocontraddizione pur di prevalere. Questo perché, come forse in ogni tempo, la parola è anzitutto strumento di contesa e non di intesa. E la scuola?
La scuola ti insegnava a pensare, o meglio a incanalare il pensiero entro solchi tracciati. E questo non è pensare ma ripercorrere un pensiero già pensato. Certo, necessario, indispensabile forse, per pensare oltre, ma tautologico se è visto –e la scuola così lo vuole– come meta di un percorso i più rilevanti della vita.
La società non sembra quindi particolarmente sollecita nel promuovere la maturazione dei suoi giovani membri. Anzi sembra piuttosto interessata a conservarli in uno stato di permanente neotenia cosicché non disturbino il tranquillo travaso di ricchezze da chi non ha a chi ha in abbondanza, e colpisce –a proposito della presunta maturità dei giovani– l’indifferenza, per non dire incoscienza, con cui vanno incontro a un’immediata catastrofe di cui sono corresponsabili, non per ciò che fanno, non per ciò che non fanno. Al primo posto di quest’ultima categoria metterei la rinunzia all’autonomia della mente, asservita ormai fin dalla prima infanzia ai sistemi pubblicitari, poi alle mode, al pensiero eteroguidato, infine alle ideologie della crescita infinita, del successo, del potere, per cui abbondano i modelli; falsi ma affini. Giuste ma inutili le analisi che deresponsabilizzano gli individui attribuendo alla società nel suo insieme e ai suoi modelli di cui tollera la diffusione la causa del suo decadimento e dell’imminente, probabile rovina. Se lasceremo che ci venga tolta la responsabilità personale anche del nostro futuro è come se firmassimo tutti, ognuno per sé, la nostra condanna.
Non so se hanno ragione coloro che vedono nella società un’entità sovra-individuale sulla quale non possiamo nulla perché dominata dalla legge dei grandi numeri. Credo però che di questa legge possiamo aver ragione, o meglio possiamo volgerla a nostro vantaggio, se riusciamo a restituire all’individuo la pienezza della sua autonomia e quindi alla società la pienezza della sua.

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