sabato 24 novembre 2012

Il mito della crescita infinita


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Il mito della crescita infinita ha ossessionato il ‘potere’ in ogni tempo e luogo: Alessandro Magno, Toma, Gengis Khan, Tamerlano e, in tempi più recenti, Napoleone, Hitler ne hanno subito la nefasta influenza. Dico ‘nefasta’ non tanto per la fase ascendente del progresso –nefasta anch’essa non per chi cresceva ma per coloro a cui spese la crescita avveniva– quanto per l’inevitabile fase discendente, la cui inevitabilità fu presto riconosciuta dagli uomini che tentarono invano di opporsi non riuscendo ad altro che ad accelerare il percorso fino al suo esito catastrofico. Oggi un tale esito non risparmierebbe nessuno: l’unica via per evitarlo è non dare inizio al percorso stesso, rinunciare, una volta che si sia raggiunto un accettabile standard di vita, a ogni ulteriore aumento di ricchezza e di potere. Ma qual è questo ‘accettabile’ standard? Chiedetelo a un africano e a uno statunitense, le risposte non saranno certo le stesse e, se anche le risposte fossero ovunque modellate sullo standard statunitense, sarebbe il nostro pianeta a non dirsi d’accordo. Anziché, quindi, proporsi traguardi che sappiamo non raggiungibili per tutti, rinunciamo in partenza alla crescita infinita e calcolando con precisione –siamo in grado di farlo– il limite al quale attenerci per non incorrere nel pericolo di estinzione.

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