venerdì 4 novembre 2011

Permanente speranza

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Come ci si sente da vecchi?

Non direi che ci si sente. Ci si vede. Si constata.

Da dentro è come dieci, venti, settanta anni fa. L’Io è restato quello che era: un io tra i tanti. Ma là fuori è un io traballante, incerto, cui il più normale movimento costa fatica e va aiutato, l’occhio vede male, l’udito è debole, la memoria labile. Ma la cosa veramente insopportabili sono i coetanei, specchio deformante di noi stessi, poi ci accorgiamo che non è affatto deformante. Siamo proprio così, con la goccia al naso, come nelle caricature dei vecchi.

Eppure potrebbe essere –e forse è– l’età più bella, più completa perché costruita lungo tutto una vita, arricchita dall’esperienza delle migliaia di persone con cui abbiamo scambiato pensieri e affetti, più le altre migliaia di cui abbiamo letto o sentito dire. Quante cose abbiamo capito o creduto di capire, quanti punti interrogativi ci hanno mantenuto in vita con l’attesa di una risposta, e tuttora ci fanno sperare in un residuo di futuro, perché questa è la vita: permanente speranza nella risposta di domani!

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