mercoledì 25 marzo 2015

Tratta XXXII.6 – … come ingranditi da una lente…





[Dialogante 1]  La grande differenza di età esclude che tra te e Valentina si instauri la più ovvia delle relazioni uomo-donna…
[Dialogante 2]  … il che non impedisce, anzi favorisce un’intensa relazione conoscitiva, basata sull’affinità del Feldenkrais con IMC. Inizialmente tale affinità si manifesta – parlo della ‘pratica culturale di base’, non della connessa teoria – in una sorta di attesa passiva, da cui solo a poco a poco si svilupperà per reazione un atteggiamento attivo che cambierà l’attesa in desiderio di scoperta.
[Dialogante 1]  Per questo mi sembra fuori posto nel termine di ‘paziente’ che, a quanto posso vedere, viene ancora usato nel Feldenkrais quasi si trattasse di una pratica medica o riabilitativa.
[Dialogante 2]  Non è certo questo il Feldenkrais, ma non bisogna neppure pensare che sia un’attività produttiva quale la pratica culturale di base. L’attività insita nel ‘metodo’ è – strano a dirsi – eminentemente cerebrale, almeno nell’interpretazione che ne dà Valentina.
[Dialogante 1]  È una gradevole la presa di coscienza di ciò che il corpo fa normalmente. I gesti e comportamenti abituale vengono scomposti e i singoli componenti enfatizzati e come ingranditi da una lente, così che il cervello possa analizzarli e quindi ricomporli in unità di livello superiore.
[Dialogante 2]  È quanto accade in IMC con la scomposizione di un oggetto culturale in unità culturale (u.c.) che ce lo fanno ‘capire’ nella sua struttura e, diacronicamente, nelle loro trasformazioni.
[Dialogante 1]  Ma… a che scopo ‘capire’?
[Dialogante 2]  Perché anche altri capiscano e noi con loro.
[Dialogante 1]  Ma gli animali vivono benissimo senza ‘capire’.
[Dialogante 2]  Capiscono benissimo ciò che gli serve per vivere.
[Dialogante 1]  E noi sembra che non l’abbiamo capito, visto come ci comportiamo.

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