[Dialogante 1] La grande
differenza di età esclude che tra te e Valentina si instauri la più ovvia delle
relazioni uomo-donna…
[Dialogante 2] … il che non
impedisce, anzi favorisce un’intensa relazione conoscitiva, basata
sull’affinità del Feldenkrais con
IMC. Inizialmente tale affinità si manifesta – parlo della ‘pratica culturale
di base’, non della connessa teoria – in una sorta di attesa passiva, da cui
solo a poco a poco si svilupperà per reazione un atteggiamento attivo che
cambierà l’attesa in desiderio di scoperta.
[Dialogante 1] Per questo mi
sembra fuori posto nel termine di ‘paziente’ che, a quanto posso vedere, viene
ancora usato nel Feldenkrais quasi si
trattasse di una pratica medica o riabilitativa.
[Dialogante 2] Non è certo
questo il Feldenkrais, ma non bisogna
neppure pensare che sia un’attività produttiva quale la pratica culturale di
base. L’attività insita nel ‘metodo’ è – strano a dirsi – eminentemente
cerebrale, almeno nell’interpretazione che ne dà Valentina.
[Dialogante 1] È una
gradevole la presa di coscienza di ciò che il corpo fa normalmente. I gesti e
comportamenti abituale vengono scomposti e i singoli componenti enfatizzati e
come ingranditi da una lente, così che il cervello possa analizzarli e quindi
ricomporli in unità di livello superiore.
[Dialogante 2] È quanto accade
in IMC con la scomposizione di un oggetto culturale in unità culturale (u.c.)
che ce lo fanno ‘capire’ nella sua struttura e, diacronicamente, nelle loro
trasformazioni.
[Dialogante 1] Ma… a che
scopo ‘capire’?
[Dialogante 2] Perché anche
altri capiscano e noi con loro.
[Dialogante 1] Ma gli
animali vivono benissimo senza ‘capire’.
[Dialogante 2] Capiscono
benissimo ciò che gli serve per vivere.
[Dialogante 1] E noi sembra
che non l’abbiamo capito, visto come ci comportiamo.
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