La cosa che sempre mi meraviglia in
Paola e che in qualche modo mi ha contagiato è la tendenza a fare di ogni
esperienza personale un arricchimento collettivo. Non so quanto ciò sia voluto
o quanto sia conseguenza ‘naturale’ di un carattere come il suo, singolare
commistione di due opposti: approfondimento individuale e disponibilità alla
condivisione.
Così il solitario percorso in ambito
grafico-pittorico si è aperto infine agli altri. Dapprima ai giovanissimi con
una quadriennale esperienza nelle scuole primarie di Montopoli (un comune della
Bassa Sabina non lontano da Cantalupo), esperienza ampiamente documentata in
uno dei libri delle Indagini metaculturali[1]
in corso di pubblicazione. Quindi con più cicli annuali di incontri settimanali
presso la sede del Centro Metaculturale qui
a Cantalupo.
A un paio di questi cicli ho preso
parte, non però attivamente ma come osservatore esterno, emozionalmente
coinvolto da un processo in costante ascesa, settimana dopo settimana, a
partire da un inizio in appariscente e apparentemente banale verso composizioni
concettualmente complesse anche se tecnicamente alla portata di chiunque.
Per chiarire questa apparente
contraddizione proverò a descrivere uno di questi incontri. Variamente
distribuite nell’ambiente, i partecipanti hanno a disposizione fogli e
strumenti vari per disegnare (matite, penne, gessetti, cere…). Paola consegna
un progetto, evidente elemento di una catena progettuale in corso di sviluppo
dalle settimane precedenti. Questi progetti o catene progettuali non
definiscono alcuno specifico oggetto – neppure astratto – da riprodurre, ma
solo un insieme alquanto aperto di ‘regole’ o ‘comportamenti’ da seguire.
Esempi:
- gruppi di elementi semplici o complessi da distribuire irregolarmente sul campo (il foglio) così da lasciare da qualche parte uno spazio vuoto
- alternare addensamenti e rarefazioni di elementi semplici
- ricoprire tutto il campo con elementi curvilinei di diversa grandezza e colore
- …
La parte più interessante degli
incontri è costituita, oltreché dalla fase esecutiva del progetto, dalla
consecutiva fase analitica: i disegni vengono fissati alla superficie libera
dell’ambiente, analizzati e discussi collettivamente da tutti partecipanti.
Questa fase dura spesso anche più di un’ora, durante la quale ciascuno ha modo
di penetrare il pensiero compositivo di ogni altro attraverso il riflesso nel
pensiero di tutto il gruppo. È come se per un certo tempo ognuno avesse a
disposizione un supercervello plurimo. Condizione indispensabile perché ciò
avvenga – e tale condizione dopo poco diventa abituale per tutti – è la totale
messa da parte di ogni competitività, di ogni voglia di eccellere, questa resta
intatta tuttavia nei confronti del proprio percorso formativo, all’interno del
quale ogni tappa viene percepita come il superamento della precedente. Gli
ultimi incontri, particolarmente interessanti, hanno avuto come argomento la
costruzione di serie di disegni.
Queste serie – si è visto nel corso delle settimane – possono essere
- trasformazionali (continue oppure discontinue)
- non trasformazionali (episodiche).
In quest’ultimo caso l’appellativo di
‘serie’ risulta particolarmente problematico e controverso, spesso giustificato
solamente da fattori esterni, per esempio cronologici (disegni composti tutti
in uno stesso anno o mese o giorno).
Non ricordo se ho già parlato, qui o
nei Postini,
di come Paola abbia dato realtà a un immagine di ‘operatore culturale di base’
– oggi ‘operatore metaculturale’[2]
– ipotizzata negli anni Settanta-Ottanta, immagine secondo cui l’operatore, non
avendo nulla da ‘insegnare’, si sedeva in disparte mentre tutto il lavoro,
compositivo o analitico, veniva eseguito dal gruppo dei partecipanti. Ebbene, è
proprio questo cui ho assistito nell’incontri settimanali con il gruppo; era
sufficiente la sua presenza, diciamo così, ‘simbolica’, perché il meccanismo si
mettesse in azione, producendo risultati di tutto rispetto.
Un ultimo momento che mi sembra utile
ricordare la cura e l’entusiasmo con cui negli ultimi incontri dell’anno
l’ingente quantità di disegni prodotti sono stati raccolti, catalogati e
riassegnati ai vari autori che gli hanno amorevolmente custoditi in apposite
cartelle quasi si trattasse di opere d’arte.
Ovviamente non lo sono… Ma ne siamo
sicuri? Dove passa il confine che racchiude l’arte? L’arte è ‘racchiuso’?
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