[Il seguente ‘Dialogo fittizio’ è, se
così si può dire, ancora più fittizio dei precedenti. Infatti i due
interlocutori vi compaiono come persone distinte, nessuna delle quali è
Valentina, mentre in una rappresento me stesso.]
[Dialogante 1] Sicché hai
ripreso il lavoro con Valentina?
[Dialogante 2] Finalmente!
dopo un mese di ‘pausa estiva’.
[Dialogante 1] E ti è
mancato?
[Dialogante 2] Certamente!
[Dialogante 1] Ma non hai
proseguito per conto tuo neppure alcuni degli esercizi che facevi con
Valentina?
[Dialogante 2] Neppure uno.
[Dialogante 1] E perché? Non
te li ricordavi o ti mancava lo stimolo?
[Dialogante 2] Mi mancava
ben più dello stimolo, mi mancava l’elemento principale.
[Dialogante 1] La persona
di Valentina?
[Dialogante 2] Sì, in
quanto alterità attraverso la quale percepivo me stesso.
[Dialogante 1] Tu ti
percepisci attraverso qualcuno che non sei tu?
[Dialogante 2] Penso che
tutti facciamo così.
[Dialogante 1] E la
propriocezione?
[Dialogante 2] Penso che
sia possibile solo con una sorta di sdoppiamento: in un osservato e un
osservatore.
[Dialogante 1] E in genere
chi ci osserva e certifica la nostra esistenza non saremo noi, ma gli altri.
[Dialogante 2] Precisamente.
[Dialogante 1] Vedo che hai
una scarsa considerazione dell’individuo.
[Dialogante 2] Al
contrario, ce l’ho molto alta. Perché uno ci sia è necessario che anche altri
lo credano[1].
[Dialogante 1] Ma che
c’entra Valentina?
[1] Vedi
la “Storia del drago che dubitava di esistere”, in [14] Il lago delle storie riflesse,
nel Volume V – Applicazioni comunicative delle Indagini metaculturali.
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