martedì 31 gennaio 2012

Un colpo di fortuna


Claviger testaceus (Preyssler, 1790) fotografato da Josef Dvořák
[340]
Era l’estate del 1943. Su tutti i fronti si muore a migliaia, a centinaia di migliaia, intere città scompaiono sotto i bombardamenti. La mattanza durerà ancora un paio di anni, facendo dell’Europa un immenso cimitero che seppellirà alla fine un’intera generazione di giovani poco più grandi di me. Avevo sedici anni e conoscevo già, per averli visti, gli effetti di un bombardamento a tappeto, ma gli effetti di un’educazione borghese, ideologicamente protetta, riuscivano a chiudermi gli occhi, quasi che questo che ci capitava intorno non fosse affare nostro.

È così restavo trascorrendo i miei giorni in una modesta villeggiatura a Montepiano, in Toscana – niente Cortina d’Ampezzo e tantomeno Amburgo come negli anni precedenti. Dopo i primi giorni, un poco deludenti, scoprii chiede anche Montepiano offriva a un’incipiente coleotteraro, quale ero allora, tanto da soddisfare la mia voracità di specie nuove. Ne avevo catturato già un buon numero –tra cui alcuni Pselafidi, Colidiidi mai visti prima– quando capitò il colpo di fortuna (io almeno lo considerai tale) che ancora oggi mi sta scolpito nella memoria, anche per le circostanze che lo accompagnarono.

Mi ero allontanato alquanto dal paese e gironzolava per i boschi di querce che circondano Montepiano di, sempre in cerca dei miei amati coleotteri. Ad un tratto sento distintamente una voce maschile chiamare da un vicino casolare: “Dario! Dario!” Mi soffermo un momento a riflettere: “No, non mi chiamo Dario”, quindi riprendo a salire sull’altura che avevo appena affrontato. Dopo circa una mezz’ora raggiungo un piccolo pianoro, sul quale vedo giacere un grosso sasso alquanto allettante per la sua piattezza (sotto questo tipo di sassi si trova in genere una ricca fauna di coleotterini). Con un certo sforzo riesco a rigirarlo e –o delusione!– tutto nereggia di formiche. Avevo scoperchiato un nido di questi insetti. Stavo per rimettere la pietra al suo posto quando, guardando meglio, scorgo, tra la confusione delle formiche, alcuni insettini che nonostante il loro aspetto aberrante, riconosco come coleotteri. Credo di aver gridato: “Clavigeridi”, poi di aver dato mano alle pinzette, riuscendo a impadronirmi di un certo numero di loro.

[I Clavigeridi sono una famiglia di coleotteri, affini agli Pselafidi, lunghi un paio di millimetri, mirmecofili, cioè coabitanti con le formiche, che li nutrono e proteggono in cambio di una sostanza zuccherosa secreta da apposite ghiandole. La mirmecofilia ha prodotto, nel corso dell’evoluzione, degli adattamenti che fanno dei Clavigeridi dei coleotteri molto particolari: senza occhi, con apparato boccale rudimentale, antenne di soli sei articoli, ali mancanti ecc.]

Stavo ritornando trionfante al paese, quando ecco pararmisi davanti tre militari col mitra puntato: “Alt, tre passi di distanza! Cos’hai in quella boccetta?” Fui colto dal terrore di dover votare sull’asfalto della strada il suo prezioso contenuto. Cercai di spiegare, quelli però, sempre col mitra puntato, a tre passi di distanza, mi accompagnarono in caserma, dove fui raggiunto da mio padre di chiarire ogni cosa. Quattro di quei Clavigeridi ornano ancor oggi, ignorati da tutti, la mia collezione. Che cosa era successo? Gli abitanti di quel casolare da cui avevo sentito chiamare “Dario! Dario!” mi avevano preso per un paracadutista inglese intento a minare un traliccio dell’alta tensione, e, visto che non rispondevano, avevano pensato bene di avvisare il locale comando. Io frattanto mi ero allontanato per le montagne e solo al mio ritorno, un paio di ore più tardi, era stato raggiunto dalla pattuglia. La guerra, oltreché uccidere, rende anche sospettosi.

Nessun commento: