[Bene – si domanderà il lettore – e la
politica che cosa c’entra?
Anzitutto: che cosa intendiamo per
politica?
I modi di intenderla sono molti. Qui li
intenderemo come l’arte della convivenza.
Che, come sappiamo, nel tempo e nello spazio. Ancora una restringere il campo
al qui e ora. Come si convive oggi nella nostra società euroamericana?
Qualcuno dirà: ‘male’, dimentico del
fatto che altrove si convive perlopiù peggio.
Si convive in democrazia, che allo stato attuale sembra la miglior forma di
convivenza. Ma che cos’è, come funziona la democrazia?
Non certo come vorrebbe la parola che
la designa: ‘governo del popolo’; ma ‘governo dei rappresentanti del popolo’,
dove per ‘popolo’ non si intende la totalità delle specie umana, ma gli
abitanti di più o meno ampie porzioni della superficie terrestre. Siamo ormai
più di sette miliardi, divisi per superficiali diversità fisiche, assai più per
differenze di abitudini, credenze, in breve per ‘cultura’. Oggi queste differenze
si vanno attenuando, non però al punto di cancellare la più diffusa e tenace
delle abitudini umane: quella di ammazzarci a vicenda. La democrazia sta invano
cercando di sostituire all’ammazzamento vicendevole la concorrenza economica
che uccide più lentamente senza spargimento di sangue, per sottrazione di spazi
ed energie vitali. Finora l’operazione sta riuscendo in pieno con le altre
specie con noi conviventi, specie che si vanno rapidamente estinguendo salvo
quelle che sfruttiamo a nostro esclusivo vantaggio e che accogliamo
generosamente nel nostro concetto di democrazia.
Ancora una domanda, sulla quale non
pretendiamo sia data risposta: la concorrenza è connaturale alla democrazia o
sono ipotizzabili sottomodelli di quest’ultima che non l’abbiano tra i suoi
costituenti primari?
Il pensiero va alle società ‘perfette’ di
alcune specie di insetti – api, vespe, formiche – cui si aggiungono gruppi
tassonomicamente assai distanti dai precedenti, come le termiti, tutte società
che non conoscono la concorrenza ‘intensa’, anche se esercitano con forza
quella ‘esterna nei confronti di società vicine, anche conspecifiche. Ma il
confronto con specie appartenenti a tutt’altro ramo evolutivo da quello dei
vertebrati e alquanto improprio e infruttuoso. Tra i nostri parenti più
prossimi, i mammiferi, i raggruppamenti di individui sono piuttosto frequenti,
ma raramente raggiungono le dimensioni delle società umane. Anche queste del
resto, solo da poche migliaia di anni – e non certo dappertutto – hanno
superato lo stato tribale, spesso conservando, sotto la dimensione nazionale,
una precedente strutturazione per tribù (clan).
Ma oggi – un oggi strettissimo, di sì e
no un centinaio d’anni – si va sovrapponendo alle precedenti una dimensione che
possiamo ormai definire ‘globale’, eccedente addirittura i confini della specie
umana e che tende a unificare sotto il termine – generico e ideologico – di vita tutto ciò che vive e si agita sul
nostro pianeta. Questa tendenza ‘globalizzante’ non ha soppiantato tuttavia
l’altra, quella paralizzante, che convive con essa e, presumibilmente, dovrà
continuare a farlo, sempre che riesca a sopravvivere a questa interna dualità.
La convivenza delle due anime dell’odierna comunità non è infatti pacifica ma
estremamente conflittuale e di conseguenza pericolosa per la sopravvivenza
nostra e nella vita tutta. Occorre quindi un modello che ci permetta di
congiungere gli opposti, diciamo: tesi e antitesi…
Ma un modello del genere ce l’abbiamo
già, e da tempo: il modello dialettico, potentemente rinvigorito dal pensiero
romantico-idealistico e trionfante con Hegel, Marx, Darwin e… Beethoven.
Forse non siamo abituati
all’accostamento di questi quattro nomi o forse tale accostamento non è del
tutto difendibile, ma produce un insieme di riflessioni che muovono la mente, e
la cosa non è per nulla disprezzabile. Qui il movimento della mente riguarderà
soprattutto il rapporto tra la musica di Beethoven e la politica nella sua
veste dialettica materialmente rappresentata dal governo in carico, l’opposizione
e le nuove elezioni. È la veste ufficiale della democrazia, il cui motore è,
ancora una volta, la competizione, la lotta tra opposti per chi sarà il
vincitore.]
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