[Ecco ora, sulla risonanza – in
pianissimo – di questo do maggiore
conclusivo, levarsi l’altro do maggiore,
quello che apre il tema – Adagio, molto
semplice e cantabile – dell’Arietta.
Le specificazioni che accompagnano il termine Arietta e questo stesso possono apparire laconiche in
considerazione dell’oggetto così chiamato, ma non penso che nell’Autore ci
fosse un’intenzione del genere. Penso piuttosto che la modestia che traspare da
queste parole fosse la più giusta qualificazione del famoso tema, la
complessità delle cui conseguenze compositive fosse in un certo senso già
contenuta in quella semplicità, come la complessità di un organismo vivente è
contenuta nel suo DNA.
A un esame più attento questa
semplicità rivela tuttavia alcune particolarità compositive che dispiegheranno
la loro potenzialità nei corrispondenti snodi delle variazioni. Così, per
esempio la tendenza ad anticipare sui tempi deboli gli accordi dei successivi
tempi forti, tendenza manifestatasi in Beethoven già molti anni prima, esplode
ora nelle violente sincopi della terza variazione, sincope che qualcuno ha
definito jazzistiche pur non avendo queste alcuna affinità con lo stereotipo
interpretativo novecentesco. Questo gruppo di tre variazioni col progressivo
dimezzamento del valore base e conseguente accelerazione del movimento produce
una sovreccitazione ritmica che si oppone alla subitanea stasi della successiva
variazione ‘doppia’, tutta basata nella sua prima parte sugli attacchi
accordali in sincope nel registro basso, poi sciolti in un uniforme formicolio
di biscrome in acuto. Il principio ‘oppositivo’ agisce qui in due forme
diverse: come discontinuità degli accordi intermittenti al basso e come
continuità delle biscrome in acuto, il tutto in opposizione alla progressiva
intensificazione ritmica delle tre prime variazioni. La dialettica dei contrari
torna a manifestarsi nella variazione successiva, piuttosto un discostarsi
dalla sostanza tematica in una fantasmagoria di trilli fino al separarsi delle
due mani agli estremi della tastiera in un attimo di autentica vertigine
pianistica, gradualmente ricomposta da un passaggio tematico modulante e
riconducente a una ripresa del tema, accompagnato questa volta da un movimento
incessante di biscrome che un poco alla volta, nello scintillio di un trillo
sovracuto di un tremolo in continuo movimento, ripropone il noto attacco
tematico arricchito dall’appoggiatura dell’addio,
per dirla con Adorno-Mann. Una rauda scala diatonica discendente e una più
volte ripetuta ripercussione dell’intervallo-base chiudono l’estremo saluto
della ‘Sonata classica’.]
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