mercoledì 15 febbraio 2012

Il compositore e l’uso delle tecnologie… (e 2)


Pubblichiamo qui la seconda parte del contributo di Emanuele Pappalardo, che lo conclude.

Il compositore e l’uso delle tecnologie come strumenti per l’integrazione di mappe mentali e territori somatici in un laboratorio di musica corale.


Leggere di più ...


Di norma accade che un compositore progetti i suoi oggetti musicali che vengono poi esportati in realtà che molte volte sono loro completamente estranee. Ciò non vuol dire che il processo comunicativo sia sempre fortemente penalizzato: le variabili in gioco sono molte e qualcuna di esse può instaurare un occasionale piano di dialogo. Ricorrere a un patrimonio comune fa si che la comunicazione circoli, che non sia un fatto esclusivamente privato.[5] L’equilibrio dei rapporti fra creatività simbolica individuale e l’accettazione culturale dei simboli usati è in grado di evitare sia il pericolo della strereotipia sia quello opposto di una chiusura soggettiva dell’informazione. [6]

Ogni atto autenticamente comunicativo presuppone un certo grado di analogia con le mappe mentali e i territori somatici dell’altro.

Quanto sinteticamente esposto fin qui ha costituito la campitura base , più o meno intensa, della maggior parte delle esperienze compositive che fino ad oggi ho potuto realizzare. Dai lavori per organici strumentali e/o vocali più o meno vasti , a lavori per singolo strumento o voce sola ,a esperienze con disabili nelle quali l’aspetto laboratoriale ha avuto un peso particolarmente rilevante a composizioni per ensamble di voci bianche, a interventi sul territorio nei quali l’elemento della tradizione orale ha avuto un suo peso, a operazioni di modulazione culturale.

Elemento costante che unisce tutte queste esperienze compositive è stato , oltre l’utilizzo più o meno rilevante degli aspetti metodologici di cui ho parlato poco sopra, il costante utilizzo di elaborazioni digitali( escludendo i primi tentativi degli anni ‘80 durante i quali le elaborazioni erano di natura analogica e fissate su nastro magnetico) . Mi preme qui ricordare l’esperienza , per me ancora unica nel suo genere, realizzata con il Coro di voci bianche dell’Aureliano e incisa su cd pubblicato in occasione del trentennale dell’Aureliano , associazione fondata, presieduta e diretta artisticamente con affetto, costanza e professionalità da Bruna Liguori Valenti. [7]

Perché utilizzare elaborazioni digitali(in tempo reale o differito) in una composizione per coro di voci bianche? Cosa aggiunge il mezzo elettronico che non possa essere realizzato con strumenti tradizionali? La prima e quasi ovvia risposta potrebbe riguardare quel valore aggiunto di natura prettamente estetica del quale sono portatrici le “nuove” (oggi tutt’altro che nuove) sonorità digitali. E ciò è certamente vero e costituisce un importante elemento strategico di “aggancio culturale”: il mondo sonoro che un bambino oggi sperimenta è digitale. E il principale strumento con cui si relaziona (a volte anche per alcune ore al giorno) è il calcolatore. Tuttavia le proposte culturali di natura musicale che gli vengono proposte sono quelle che tutti conosciamo e sulle quali non vale la pena soffermarci.

Va rilevato che troppo spesso ci si ferma a questo “aggancio estetico” dove il termine estetico continua ad avere quell’aura di ineffabile metafisicità cui la nostra cultura occidentale ci ha abituato da almeno tre secoli. Ma è mia convinzione che non ci sia estetica senza etica a meno che non si intenda l’estetica , e l’arte, come occasioni di svago o , per dirla con le parole di M. Cacciari, “come un ‘occasione che l’individuo ha di gioco e nella quale può utilizzare il segno, la forma, la parola liberandola dalla fatica quotidiana del denotare”, ma qui è chiaro che si confonde il gioco con il divertimento, sono due attività profondamente diverse . Non c’è alcuna ragione di confonderle: il rischio è una deleteria confusione sul piano linguistico e altrettanto pericolosa confusione sul piano del fare. 8 Nella prospettiva metodologica che fa da riferimento a quanto detto fin qui e che affonda le sue premesse teoriche soprattutto nella Teoria dei Scac [9] e nell’Ipotesi Metaculturale [10] «l’estetica sarebbe fortemente legata al comportamento (ossia all’etica) ed è caratterizzata da un aspetto pragmatico, ossia indirizza un comportamento (…) In fondo l’estetica cos’è? È lo sviluppo di una funzione dell’apparato sensoriale. Bisogna chiedersi: a cosa serve sentire, toccare, vedere? Ad indirizzare un comportamento! Man mano che si complica lo sviluppo sociale, le necessità di certe relazioni e scambi , si esce da questi scopi primari legati alla sopravvivenza. L’estetica, in quest’ottica, è uno sviluppo della percezione la quale ha una funzione integrativa per l’essere vivente (uomo compreso) perché la percezione è un meccanismo con il quale nella maniera più economica si riduce al minimo il rumore informazionale che ci circonda».[11] Ecco allora che le indubbie fascinazioni sonore che l’elaborazione digitale produce possono essere una preziosa fonte di conoscenza autentica per gli individui(soprattutto se si tratta di pre adolescenti o adolescenti) purchè tale esperienza sia connotata da aspetti sperimentali e giocosi: la sperimentazione è strettamente legata all’esperienza ed è un importante fattore formativo . Tuttavia è facile constatare come oggi a una larga diffusione della teconologia , dovuta a un abbattimento drastico dei costi, non vi sia una parallela produzione musicale di qualità: «quella attuale è un’epoca di sovrapproduzione (…) mai si è vista così tanta produzione musicale e così poca esperienza di un certo livello» 12

Una sperimentazione che sia fonte di domande, di dubbi, di messa in discussione di certezze. «Il dubbio ci spinge a guardare in nuove direzioni e cercare nuove idee... Quello che oggi chiamiamo “conoscenze scientifiche” è un corpo di affermazioni a diversi livelli di certezza. Alcune sono estremamente incerte, altre quasi sicure, nessuna certa del tutto. Noi scienziati siamo abituati, sappiamo che è possibile vivere senza  sapere le risposte. Mi sento dire “Come fai a vivere senza sapere?” Non capisco cosa intendano. Io vivo sempre senza risposte. È facile. Quello che voglio sapere è come si arriva alla conoscenza. Questa libertà di dubitare è fondamentale nella scienza e, credo, in altri campi. C’è voluta una lotta di secoli per conquistarci il diritto al dubbio, all’incertezza: vorrei che non ce ne dimenticassimo e non lasciassimo pian piano cadere la cosa. Come scienziato, conosco il grande pregio di una soddisfacente filosofia dell’ignoranza, e so che una tale filosofia rende possibile il progresso, frutto della libertà di pensiero. E come scienziato sento la responsabilità di proclamare il valore di questa libertà, e di insegnare che il dubbio non deve essere temuto, ma accolto volentieri in quanto possibilità di nuove potenzialità per gli esseri umani. Se non siamo certi, e lo sappiamo, abbiamo una chance di migliorare la situazione. Chiedo la stessa libertà per le generazioni future.Nella scienza il dubbio è chiaramente un valore. Se lo sia in altri campi è una questione aperta, una faccenda tutt’altro che certa. È importante dubitare, il dubbio non deve incutere timore, ma deve essere accolto come una preziosa opportunità».[13]

Così si esprime Feynman, uno dei fisici più rigorosi e colti del XX secolo. Quindi una sperimentazione che sia fonte di domande anche per gli educatori: «Per la prima volta nella storia siamo chiamati ad affrontare una nuova sfida – tutti insieme, ma tuttavia ciascuno da solo: la sfida di preparare l’uomo a prendere decisioni per tutta la vita, ad apprendere e riapprendere per tutta la vita e (ancora più importante) a prendere parte per tutta la vita ad un processo di reciproca educazione e ri-educazione. Educare all’incertezza (che non vuole dire ignoranza o indifferenza ma positiva dedizione a trovare insieme nuove prospettive, nuovi mezzi e nuove vie) è il più impegnativo compito degli educatori di oggi. Le persone insicure escogitano una certezza illusoria attraverso un ritorno puramente sentimentale ad un certo qual supposto “momento migliore”. Altre esorcizzano la realtà volgendo il loro timore verso terreni consueti (le loro famiglie, le loro chiese o ideologie, la scienza, gli affari, la nazione). (…) I nostri bambini ed i nostri adulti in età giovanile non devono soltanto vedersela con la cangiante attualità,ma insieme a noi (forse anche per noi) devono prepararsi saldamente per le incertezze a venire, delle quali ci sarà indubbiantente un crescendo. Alcuni studiosi, consapevoli di tutte le ‘esplosioni’ nella conoscenza e nelle sue applicazioni, si affidano entusiasticamente alle innovazioni nel campo della tecnologia educativa, della scienza della comunicazione, al futuro degli scambi elettronici interconnessi, almeno come sostegno alle opportunità di apprendere .

Più centrale e significativo, tuttavia, è il riconoscimento che per la prima volta nella storia l’inventività tecnologica ha reso non soltanto possibile ma necessario per tutti noi di avere parte in senso umano (non soltanto tecnico) in quella grande, ma ancora incerta comunicazione che è la Civiltà. Noi possiamo dare un contributo positivo, benché limitato, immettendovi la nostra esperienza e il nostro impegno».[14]

Il calcolatore, e le elaborazioni digitali del suono, vanno considerati come strumenti, come mezzi- e anche molto potenti e flessibili- di integrazione individuale e sociale. Ma è fondamentale non fermarsi a quello stadio di fascinazione uditiva che , per quanto importante e funzionale, rischia di risolvere una costruttiva e specifica esperienza di gioco in una generica attività di divertimento.






Note

[1] Steven Mithen Il canto degli antenati, Codice edizioni, Torino 2007, p.252.

[2] G.Flaminio Brunelli Lezioni , Corso di fisiopatologia biotransazionale (1996-2004), a cura degli allievi, Archivio Brunelli, Roma 2002.

[3] Con Fascia miotensiva concretamente (nella Teoria dei SCAC, vedi nota 9) si intende un apparato tensiogeno del quale, nell’uomo, fanno parte diverse strutture anatomiche fra cui muscoli e dove un ruolo fondamentale è giocato dal tessuto connettivo. La fascia miotensiva racchiude tutte le potenzialità di movimento dell’organismo.

[4] Laboratorio come un luogo nel quale si sviluppa una attitudine a rendersi consapevole delle teorie, più o meno evidenti ma che inevitabilmente condizionano una qualunque prassi, e dove, parallelamente, questa riflessione possa diventare essa stessa modalità di pensiero. In estrema sintesi un «Laboratorio è un luogo dove si impara a riflettere prima di pensare» (G.F.Brunelli)

[5] Cfr. Emanuele Pappalardo Conoscenze e abilità: il ruolo delle nuove tecnologie in Musica Domani n.128 p.37.

[6] Cfr. Mario Baroni Suoni e significati, EDT, Torino 1997, p.53.

[7] Si tratta di Amicus fidelis per coro di voci bianche ed elaborazioni digitali, Coro di voci bianche Aureliano direttore Ornella Chiumeo (Roma, 2004).

[8] E penso sia lecito affermare che un confusione pedagogica porterà a una confusione didattica.

[9] Giulio Flaminio Brunelli (1936-2004) medico, biologo,ricercatore, genetista è l’ideatore della Teoria dei SCAC (Sistemi Complessi Articolari Chiusi), un modello di complessità sistemica che si colloca nell’ambito del paradigma della complessità. La Teoria trova applicazioni in vari ambiti: biologico, economico, sociale, artistico, musicale ecc. e considera «l’uomo, e qualsiasi essere vivente, come un sistema chiuso di funzioni correlate da uno scopo vitale dove le membra si articolano per rendere attuale una possibilità» (G.F.Brunelli).

[10] L’Ipotesi MetaCulturale (I.M.C) elaborata da Boris Porena negli anni ‘70 è sinteticamente riassumibile nella seguente definizione «ogni nostro atto o pensiero, se non altro in quanto possibile oggetto di comunicazione, ha in sé una componente culturale che va relativizzata alla cultura che l’ha prodotta» (Boris Porena).

[11] G.F.Brunelli, Lezioni, Corso di fisiopatologia biotransazionale a cura degli allievi (1996-2004), archivio Sisni Roma.

[12] Costant Lambert, 1934, citato in Mithen op. cit. p.316.

[13] Richard Feynman Il senso delle cose, Adelphi, Milano 2004, p.37.

[14] Edmund King, a cura di, Psicologia e Pedagogia, Edizioni Claire, Milano 1984, p. IX.




Nessun commento: