lunedì 29 agosto 2016

Tratta XL.2 – … dissolto il proprio lavoro…


Siccome non sono competente (non so, non capisco) delle cose di cui nella precedente lista – e in molte altre ancora – , non scriverò il predetto libro ma mi limiterò alla presente ‘tratta’, non potendo purtroppo cancellare quella percorsa dalla nostra gente dalla ‘discesa in campo’ di Berlusconi in poi. O forse dovrei antedatare la tratta a un imprecisato tempo precedente, per esempio agli anni del boom economico (anni Sessanta)? Sarebbe come chiederci quando ha avuto inizio e quando è finito il fascismo o il comunismo. La storia è punteggiata di date ma conosce solo – seppure – i percorsi (le ‘tratte’). E così ‘Berlusconi’ non è che un nome, significa però una tendenza, un modo di pensare già diffuso nella popolazione, non solo italiana. E qual è questo modo di pensare?
Quello centripeto che convoglia ogni interesse su di sé, voglio dire sulla persona che ha quell’interesse. Dicono che Berlusconi sia estremamente generoso di natura; non esito a crederlo, in quanto la generosità si dà a vedere come centrifuga mentre è il suo contrario, sempreché se lo possa permettere senza pregiudizio per la sostanza, che nel nostro caso pare che sia notevolissima.
Qui entra in gioco un mio pregiudizio che riconosco come tale, ma de cui non riesco a liberarmi, anche perché non trovo un alleato sufficientemente forte nella ragione: ritengo le persone troppo ricche (ma quando la ricchezza è troppa?) penalmente perseguibili (non dirò ‘colpevoli’ che implicherebbe un giudizio ‘morale’ in cui non voglio invischiarmi). E la ‘pena’ dovrebbe consistere nel restituire alla società almeno l’80% del patrimonio accumulato: in altre parole una ‘patrimoniale’ secca da corrispondersi in euro o in strutture produttive a compensare le diseguaglianze sociali. Si dirà che nessuno avrà più voglia di essere produttivo per poi vedere dissolto il proprio lavoro nell’anonimato sociale. Ed è qui che occorrerebbe una mutazione culturale. La produzione in quanto tale andrebbe a beneficio della società tutta (non necessariamente limitata ai confini nazionali), che dal conto suo saprebbe a chi dovere tale beneficio. Nulla di nuovo: l’opera di molti artisti, pensatori, ricercatori, scienziati è di questo tipo. Né Mozart, né Kant, né Ariosto[1] né Einstein hanno visto il loro ruolo dissolversi nell’anonimato. Ampliando l’Io fino a comprendere la natura umana e oltre, la soggettività non si perde, addirittura si rafforza[2] uscendo dalle strettoie particolaristiche per respirare un’aria di effettiva, non ideologica libertà.
Non possiamo incolpare Berlusconi di non saper uscire dalle angustie della sua persona. Tutti noi ne siamo incapaci ma evitiamo per questo di atteggiarci a salvatori della politica quando ci interessa di fatto soltanto di serbare noi stessi e ciò che riteniamo sia nostro. E su questo punto, sul concetto di proprietà dovrebbe prodursi la mutazione culturale cui ho accennato.
Ma non abbiamo già assistito a una tale mutazione, con le conseguenze che sappiamo? Forse quelle conseguenze non si debbano tanto alle riflessioni sul concetto di proprietà quanto alla non avvenuta mutazione. In tal modo le conseguenza sono tate imposte – dove è stato possibile – senza che il nuovo stile di pensiero, maturato nella angustia, non di una persona, ma di una buia biblioteca londinese, avesse ricevuto un’adeguata convalida sociale. Diffusa con la forza in una regione, pur vastissima, ma non ancora conquistata dall’ideologia del ‘progresso’, la nuovissima ideologia della ‘parità’ si offriva a tutti gli oppressi come potente strumento di riscatto sociale e al tempo stesso veniva percepita come inammissibile ostacolo sul proprio cammino. La violenza fisica del progresso ha avuto facile ragione della relativa inerzia della parificazione e si è imposta come vincitrice su tutto il pianeta. Non ha però fatto i conti col pianeta stesso e si trova oggi in una crisi che la induce a riconsiderare sotto tutt’altra luce la scontata alternativa di una pregiudiziale parificazione e pacificazione universale, da cui partire per avviare la mutazione (meta)culturale necessaria alla sopravvivenza.
Questa semplice riflessione è inaccessibile al ‘nostro’, o a tal punto contraria ai suoi interessi da fargli perfino di passare por un incapace mentale a veder messa in dubbio la sua ideologia del possesso.]



[1]             Parva sed certa mihi.
[2]             Vedi Ich hoch sechs, Parabole.

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