martedì 1 dicembre 2015

Tratta XXXIV.2 – De senectute – Un semplice ammasso di cellule





Credo che, se i cosiddetti acciacchi dell’età si fossero presentati tutti assieme, non li avremmo sopportati. Ma la natura benevola ci da, per ogni nuovo acciacco, un tempo di assuefazione che ci permette di convivere con esso. E così anche la perdita di facoltà che consideravamo permanenti e di conseguenza la cessazione di attività che ci apparivano vitali risultano alla fin fine meno gravose di come avevamo pensato. Così un poco alla volta ho smesso la mia attività di compositore (che ritenevo irrinunciabile per la vita stessa), ho cessato la raccolta di coleotteri (mai interrotta dal 1940), ho coscientemente avviato l’oblio della lingua materna (ho parlato prima il tedesco che l’italiano); ho perso in buona parte l’udito, la vista, il gusto, l’appetito sessuale, eppure eccomi qua, seduto sul balcone di casa immerso nel verde cangiante di confluenti chiome di tiglio, robinie, vite e alloro, che scrivo queste tratte, sbirciando a volte con soddisfazione ai libri delle Indagini metaculturali che si vanno accumulando alle mie spalle. Vivo una vecchiaia fortunata che non tutti hanno in sorte, posso dire che a questa vecchiaia, forse inconsapevolmente, mi sono preparato – o è stata la vita stessa a prepararmi – ed è questo che voglio ripetere ai giovani e meno giovani: non aspettate che la vecchiaia sia conclamata, essa comincia a venti anni, così come la gioventù non conosce un limite superiore. Non so se la vita sia un processo unitario e coerente, ormai penso piuttosto che sia plurimo e discontinuo, conviene però immaginarlo come un tutt’uno, la cui coerenza è a nostro carico, sempreché vogliamo riconoscerci, da quando nasciamo a quando moriamo, come individui e non come un semplice ammasso di cellule. La nostra identità è costruita, durante il corso della vita, dal cervello, e questo resta se stesso fino alla fine, compensando le proprie perdite coll’introiezione di sempre nuove diversità. Da un lato quindi ci conviene alimentarlo a dovere fin quando gli chiediamo di sostenere la nostra esistenza, dall’altro dobbiamo stimolarlo fin dall’inizio a mantenersi costantemente disponibile ad accogliere l’imprevisto.


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