Si dice che la gioventù è portata all’utopia, ai sogni irrealizzabili che l’età
si incarica poi di ridimensionare quando non insterilire del tutto. In molti
casi è certamente così, ma in molti altri è proprio la vecchiaia che ama
fantasticare dell’impossibile, anche perché nessuno le chiederebbe di
realizzarlo. Anche a me capita spesso di uscire dai binari del possibile, e
fino qualche anno fa ho trovato persone che mi hanno aiutato a rimettermi su
quei binari o a tentare l’avventura dell’impossibile. Ora però mi accorgo che i
giovani hanno una certa reticenza a darmi retta e quelli di mezza età
preferiscono parlare d’altro. Ciò non toglie che, soprattutto nelle prime ore
del mattino, quando sarebbe insensato alzarsi, io mi lascio andare a maggiori
insensatezze, di cui, salvo eccezioni, non faccio parola con nessuno.
Non escludo tuttavia che, dopo più matura riflessione, io non affidi all’una
o l’altra di queste tratte qualcuna
delle mie fantasie mattutine. Mi sembra infatti che non è tanto l’immaginazione
a venir meno con gli anni, quanto piuttosto la facoltà coordinatrice del
pensiero, poco incline a conferirgli consequenzialità logica, anzi ben disposta
a lasciarlo vagare dove più gli piace. È forse anche per questo i giovani, più
amanti dell’ordine di quanto si creda, tendono ad attribuire a senilità le
extravaganze dell’anziano. Questa è almeno la mia difesa di anziano.
Una perdita che non mi riesce di camuffare in alcun modo è quella della
memoria, che talora mi assale nel bel mezzo di una frase, impedendomi di
concluderla. E così preferisco spesso stare zitto che rischiare, il che in
molti casi è anche meglio. Se poi una cosa nessuno riesce a ricordarla, ecco
che ci sono io a ricordarla benissimo.
Il vecchio è imprevedibile come lo è il bambino e, come a quest’ultimo, si
cerca di non dargli retta, magari per poi scoprire che ha ragione, anche quando
è proprio la ragione che sembra essergli venuta meno. Ma, si dirà, i vecchi
sono da sempre il simbolo della saggezza.
Il ‘simbolo’ appunto, non la saggezza.
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